Il Messaggero, 18 luglio 2023
Schwarzy in foto
Arnold Schwarzenegger ha sempre voluto essere americano. Fin da bambino, quando viveva nel villaggio austriaco di Thal con la madre, che chiedeva l’elemosina per i figli, e il padre ex nazista, che lo teneva a bada con la cintura. «Rappresento la tipica storia di successo Made in Usa, ma senza il mio pubblico canterei lo yodel sulle Alpi», dichiara. Ora, a distanza di quasi settant’anni – ne compie 76 il 30 luglio – celebra la sua carriera a stelle e strisce tra culturismo, cinema e politica con una monografia fotografica in due volumi (dal 19 luglio, edita da Taschen), che arriva dopo una docuserie online su Netflix da pochi giorni. Entrambi i progetti si intitolano semplicemente Arnold, l’uomo che ce l’ha fatta nonostante il cognome impronunciabile. «A Hollywood hanno imparato Lollobrigida, impareranno anche il mio», commentava. Nell’imponente biografia per immagini di 800 pagine, con tante foto d’archivio e i ritratti firmati dai giganti della fotografia che lo hanno immortalato negli anni: Avedon, Leibovitz, Erwitt, Ritts e Warhol.
SEZIONI
«Con il curatore Dian Hanson ho messo dieci anni per realizzare l’opera – racconta Schwarzenegger – che abbiamo diviso in quattro sezioni: l’atleta, l’attore, l’americano e l’attivista. È stato più semplice diventare Mr. Universo». Viene venduta in tre versioni deluxe, la più economica è stata tirata in 1,947 copie (l’anno di nascita di Arnold) e costa 1.250 euro. La seconda è corredata da un leggìo a forma di capitello corinzio, in omaggio all’ideale greco incarnato dal suo fisico (prezzo 2.500 euro), mentre la più esclusiva ha la copertina di Annie Leibovitz stampata su lastra di alluminio e viene 12.500 euro. Tutte acquistabili sul sito dell’editore, numerate e firmate da Schwarzenegger. Ma non finisce qui, l’attore ha già annunciato una nuova autobiografia in autunno.
«Avevo deciso che il bodybuilding mi avrebbe portato in America, lontano dall’Austria brutalizzata dalla guerra dove vedevo solo uomini distrutti». Così commenta le foto dei primi allenamenti, quando da giovane appendeva i poster di Steve Reeves – l’Ercole di Cinecittà – in cameretta. «Mia madre chiamò un dottore, pensava fossi gay», ricorda. Dopo essere diventato il più giovane Mister Universo a 20 anni, finalmente realizzò il suo sogno e nel 68 si stabilì in California: «Ho baciato terra appena sceso dall’aereo». La sezione più importante dei due volumi è dedicata all’atleta, con foto vintage di muscoli pompati, palestre e gare. «Arnold aveva capito l’importanza dell’immagine nella promozione del bodybuilding», ricorda uno dei suoi primi fotografi, Jimmy Caruso. Alcune ricordano il Primo Carnera dipinto da Giacomo Balla, altre raccontano un campione considerato il re dello stile nelle pose, malgrado non avesse il miglior fisico. Questo faceva la differenza. «Così il culturismo divenne popolare e ispirò documentari come L’uomo d’acciaio di George Butler (’77), scatenando la curiosità di film-maker e artisti», dichiara Arnold.
Andy Warhol, per primo, lo invitò alla Factory e lo ritrasse con la polaroid (cover del libro), oltre a farlo posare per la sua rivista, Interview; mentre Francesco Scavullo lo volle nudo ma non full frontal – per il paginone di Cosmopolitan: «Ero diventato un sex symbol», commenta Schwarzenegger. Un altro a consacrare il suo mito fu Robert Mapplethorpe nel 76 (le foto non sono incluse nel volume), che ha donato plasticità alla sua pelle, animandola come in una scultura di Rodin.
SUCCESSI
Nella parte dedicata ai successi cinematografici, ci sono gli Anni ’80 dell’ottimismo reaganiano e degli action movie, da Conan il barbaro di John Milius fino a Terminator e all’incontro con James Cameron: «Con il suo accento tedesco parlava già come una macchina», rivela il regista. E se il fotografo Greg Gorman lo immortala citando Marlon Brando motociclista del Selvaggio, Herb Ritts lo ritrae con il Winchester 1887 a canne mozze e poi in altre session, dove sembra vulnerabile sotto la scorza da duro. Secondo Butler, «la sua maestosa virilità lo aveva tramutato in icona pop». Con le cover di Vanity Fair degli Anni ’90, realizzate da Annie Leibovitz, maestra dell’ambientazione, Schwarzenegger raggiunge i vertici del ritratto.
In uno è ripreso su uno sfondo alpino, in omaggio all’iconografia del Terzo Reich di Leni Riefenstahl, in un altro galoppa a torso nudo su un cavallo bianco, con un tocco di ironia che fa capolino anche nei film, da True Lies alla commedia I Gemelli.
LE BATTAGLIE
Gli ultimi capitoli sono dedicati alla vita politica e alle battaglie in difesa dell’ambiente (è fotografato anche con Greta Thunberg). C’è il periodo da governatore della California e il matrimonio dell’86 con Maria Shriver, erede Kennedy che lo ha mollato nel 2011, dopo l’adulterio consumato con la governante. Ma qui con la retorica delle foto patriottiche di Nigel Parry si rischia il monumento al brand Schwarzenegger, che è anche il limite del progetto Netflix, sembrato a molti critici troppo autocelebrativo. Nella docuserie stona il surplus di frasi motivazionali – «il segreto è darci dentro» o «il destino lo costruiamo noi» – e forse Arnold lo preferiamo quando diceva solo settanta parole in Terminator. Oppure muto, simile alla scultura di un Dio greco, massima aspirazione per il corpo di un bodybuilder che così diventa «epifania del sacro, fra Eracle e Apollo», come scriveva il critico d’arte Germano Celant delle foto di Mapplethorpe.