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 2023  luglio 18 Martedì calendario

Intervista a Vincenzo Salemme

Vincenzo Salemme si difende dal caldo nella bella casa al quartiere Prati, a Roma: aria condizionata, crema di caffè e una finestra che incornicia San Pietro, come fosse un quadro. Quasi cinquanta anni di carriera, l’amore del pubblico (di cui non dubita, ma quando parla del successo è quasi imbarazzato), ironico con un fondo di malinconia, la prossima stagione sarà protagonista diNatale in casa Cupiellodi Eduardo De Filippo (debutta il 21 ottobre a Orvieto, sarà al Diana a Napoli a novembre, poi in giro per l’Italia) e prepara una serata di teatro per la Rai. «Vedremo se sarà una commedia nuova, rotonda, tipoNapoletano? E famme ‘na pizza o “il meglio di”. Non lo sappiamo ancora, dovrebbe essere in aprile. L’anno scorso il teatro in diretta televisiva è andato benissimo, mi fa piacere. Ma non è un’impresa facile».
Papà avvocato. Da Bacoli a Napoli, studi al liceo classico Umberto: in famiglia la volevano in toga?
«Papà, civilista e penalista, diceva che sarei stato molto portato. Se non fossi riuscito come attore era un mestiere che avrei potuto fare. Un avvocato in famiglia c’è, mio fratello».
In fondo anche un avvocato va in scena.
«Guardi che nella vita tutto ha a che fare con il teatro».
Com’era da adolescente?
«Soffrivo di una forma di timidezza patologica, avevo dei tic violentissimi, giravo su me stesso mentre camminavo, tanto che chiedevo a mia mamma di affacciarsi al balcone, così quando mi giravo sembrava che la salutassi».
Quando ha capito che voleva recitare?
«Da bambino. Dalle suore facevano le recite religiose, veniva il vescovo e volevo essere in palcoscenico. A Natale invece delle letterine scrivevo piccole commedie che recitavo».
Come fu l’incontro con Eduardo?
«Arrivai da Bacoli a Cinecittà, me lo presentò il mio amico Sergio Solli.
Eduardo uscì dallo Studio 5, era una pausa della registrazione di Natale in casa Cupiello .Aveva lo scialletto sulle spalle, profumava di lino e un po’ di borotalco. Era gracile, ricordo che gli presi la mano e disse: “Non stringete”. “Diretto’” gli dissero, lo chiamavano così, “sto guaglione vorrebbe fare la comparsa”. “No”, rispose lui “facciamogli dire qualche battuta cosi prende la paga da attore e non da comparsa”. Mi aveva visto talmente magro che pensava non mangiassi da chissà quanto tempo».
Era severo?
«Mi vedeva come un nipote, sentiva che gli volevo bene, avevo una sola ambizione: recitare. Un giorno chiese: “Chi vuole fare i sipari?”. Oggi sono stati inventati quelli elettrici, ma una volta si faceva tutto a mano, e quando c’erano le chiamate finali, per raccogliere gli applausi del pubblico, aprivi e chiudevi. Ero piccolo ma forte, il velluto era spesso, pesante, era una grande fatica.
Ammirò il coraggio».
Poi ha lavorato col figlio di Eduardo, Luca. Com’era?
«Era un ragazzo intelligente, sensibile, aveva una sua poetica, diversa da quella eduardiana, si sentiva di somigliare a Vincenzino Scarpetta, il figlio di Eduardo riconosciuto. Era amatissimo dalpubblico, un giorno al ristorante mi chiese: “Ma il pubblico me lo riconosce il mio? Devo fare qualcosa che non è di papà”. Gli risposi: “Ti amano perché fai benissimo quello che fai”. Aveva fantasia, e grande empatia con gli spettatori. Era alto e si piegava sulle gambe per recitare».
Ha condiviso la scena con artisti bravissimi, in cosa si riconosce il
genio?
«Dalla naturalezza con cui fa qualcosa di divino, e anche da un filo di disperazione. Non penso sia un merito, nasci genio».
Lei scrive sempre, tanto. Cosa le piace di più?
«I dialoghi. Ho una particolare facilità a scriverli, di cui mi meraviglio io stesso. Scriverei dialoghi su tutto».
Fabio Fazio a “Che tempo che fa” l’aveva ironicamente trasformata nella vittima sacrificale. “Lui ha vinto premi, tu, Vincenzo, no” e via così. Com’è nato quel gioco?
«Non ero mai andato da Fazio, mi chiamò Luca Bottura per invitarmi, ricordo che ero in scena al Manzoni di Milano. Mi stupii, era come se non esistessi, non mi aveva mai chiamato. Arrivai in studio, ci salutammo con Fabio e glielo dissi: “Non mi hai mai invitato prima”. Nacque una gag comica. Così rilanciò: torni? È durata un paio di stagioni, ci siamo divertiti, scherzavamo, il bello è che il pubblico prendeva le mie parti. E anche quando non sono più andato mi fermavano: “L’ho vista da Fazio, che divertente”».
Ha lavorato con Vanzina, Tornatore, Martone. Ha girato ben tre film (“Sogni d’oro, “Bianca”, “La messa è finita”) con Nanni Moretti: come nacque il rapporto?
«Eravamo entrambi vivaci, ci piaceva giocare a calcio, diventammo amici.
Veniva al mio paese, a Bacoli, in famiglia. C’era un’affinità nella visione del mondo, una certa distanza dalle polemiche, dalle risse inutili: ci piaceva il lavoro come divertimento. Poi ci siamo persi, non so perché, la vita è così».
E il legame con Vanzina?
«Unico: era un amico, un gentiluomo. Sui set dei film di Carlo — ne ho girati otto con lui — nelle pause mi addormentavo, tanto ero rilassato.
Era un uomo di una cultura incredibile, penso a lui ogni giorno».
Chi la fa ridere?
«Il mio mito sono Stanlio e Ollio, hanno tutto: l’innocenza, la cattiveria, poi erano una vera coppia. Meravigliosi, facevano ridere con nulla, c’è quel film in cui devono trasportare un pianoforte e casca sempre. Un meccanismo a orologeria. Per me sono un gradino sopra Chaplin, che è il top. La commedia è un’arte, pensi a Billy Wilder, ma qui in Italia di maestri ne abbiamo avuti: non dimenticherei Mario Monicelli e Dino Risi».
Il rapporto col successo?
«Mah. L’ho avuto gradualmente, non me ne accorgo».
Ha il dono della fede?
«Non sono credente né ateo. Solo speranzoso che ci sia qualcosa di meglio di là, a guardarci».
Da ottobre a marzo sarà nei teatri più importanti con “Natale in casa Cupiello”: ha paura?
«Se avessi paura penserei di potermi misurare con Eduardo, non ci penso proprio. Sono divertito all’idea di rifare la commedia, non tradirò nulla, è un capolavoro. Io sono più giovane, già quello è il grande cambiamento».
In autunno sarà anche al cinema con la commedia “La guerra dei nonni” di Gianluca Ansanelli. Di cosa parla?
«Con Max Tortora siamo due nonni, io sono quello che sta sempre con i tre nipotini, legatissimo a loro, li coccola, li segue. Lui invece è sempre assente. Ma a un certo punto il nonno giramondo affascinante riappare, li vizia e me li ruba».
Rimpianti?
«Non aver avuto figli. Per colpa mia, e so che non avrei potuto fare altrimenti, visto il mio carattere complicato. Avrei voluto essere diverso. Ma è andata così: un figlio è l’unica cosa che mi manca nella vita».