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 2023  luglio 18 Martedì calendario

Salta l’accordo sul grano. Nel Sud del mondo allarme fame

Il gioco politico è scoperto. Nel momento in cui l’Europa lancia un’offensiva diplomatica verso i Paesi del Sud del mondo, con l’intento di conquistarli finalmente alle buone ragioni dell’Ucraina, Mosca scatena una crisi alimentare, scaricandone la responsabilità su chi – Europa e Usa – indica come i fautori della guerra a oltranza. Il prezzo da pagare per il nuovo blocco dei porti ucraini è pesante ed è a carico proprio di quegli stessi governi di Africa, America Latina e Asia che l’emergenza cibo può porre di fronte a rivolte popolari e, per i Paesi più deboli, alla fame di massa.
La decisione di non rinnovare l’accordo Onu per l’export alimentare dell’Ucraina punta anche ad aprire crepe nel muro delle sanzioni checirconda l’economia russa. Il Cremlino rivendica che Europa e Usa non hanno tenuto fede agli impegni di non ostacolare le esportazioni alimentari, questa volta, di Mosca. In realtà, l’export di cibo dell’agricoltura russa non è sottoposto a sanzioni, se non a quelle collaterali che colpiscono tutte le esportazioni e dove distinguere fra carico e carico può essere problematico. L’argomentazione è in larga misura speciosa. Mosca non ha nulla da lamentarsi del suo export agricolo: le esportazioni russe di grano sia l’anno scorso che quest’anno sfondano, secondo gli esperti, il muro dei 45 milioni di tonnellate, storicamente mai raggiunto.
Il record è, del resto, frutto anche della paralisi di uno dei maggiori concorrenti della Russia sul mercato internazionale: l’Ucraina, appunto, che, di grano, era, prima della guerra, il quarto esportatore mondiale. Ora, sul Mar Nero, davanti ai grandi porti ucraini, è tutto fermo. L’ultima nave carica di cereali ha lasciato Odessa sabato scorso, ma, di fatto, è da fine giugno che i russi non fanno entrare nuove navi: ce ne sono 27 ad aspettare al largo quel permesso di dirigersi verso Odessa o Chornomorsk, che ora, probabilmente, non arriverà mai.
Per Putin conta anche che, per l’economia ucraina, già bombardata e stravolta, questo sia un colpo durissimo. Le “terre nere” a ovest del Dnepr, fra le più fertili al mondo, producevano, prima della guerra, 33 milioni di tonnellate di frumento, di cui 20 destinati all’estero. In qualche misura risparmiate dalla guerra – che ha infuriato più a Est – queste “terre nere” erano in grado ancora di fornire un raccolto importante, cruciale per le disastrate finanze di Kiev.
Ma il contraccolpo è anche più duro dall’altra parte, fra i clienti del granaio ucraino. L’allarme scatta per le plebi impoverite dell’Egitto che, di frumento, è il massimo importatore, per una quantità che vale quanto tutto l’export ucraino o metà di quello russo. E, poi, per la Turchia di Erdogan (che dell’accordo Onu sui porti era stato il regista), per Algeria, Indonesia, Cina e, a scendere, Nigeria, Filippine e Brasile. Sono questi i paesi quantitativamente più colpiti dal nuovo blocco russo, ma, per paesi più deboli, non è problema di disagi o proteste. Lo spettro èquello della fame. Paesi come Somalia ed Eritrea importano quasi tutto il grano di cui hanno bisogno.
Per ognuno di questi paesi, le mancate forniture e i probabili aumenti dei prezzi del cibo complicano una situazione già resa difficile dagli aumenti dei tassi di interesse sui debiti e dalla perdita di valore delle loro monete nazionali (le derrate alimentari si trattano sul mercato internazionale in dollari). Ma ne risentirà anche l’Europa. Metà delle esportazioni ucraine arriva in Europa e l’accordo di un anno fa aveva contribuito a far scendere i prezzi (almeno della materia prima) legati ai cereali sui nostri mercati. Ora il calo dell’inflazione, in corso da qualche mese, potrebbe segnare un pericoloso rallentamento.