La Stampa, 18 luglio 2023
Intervista a Enrico Vanzina
Colbacco gigantesco, cagnolino e stivaloni di pelo: a ispirare quel look così vistoso e sopra le righe dei cummenda milanesi e delle rispettive consorti, protagonisti chiassosi di Vacanze di Natale, è stata la Pitonessa fotografata sulle nevi di Cortina d’Ampezzo?». Enrico Vanzina, sceneggiatore, produttore cinematografico, regista, narratore e gran funambolo della commedia all’italiana – con suo fratello Carlo, scomparso nel 2018, ha dato vita a ben 250 pellicole – ride ma scuote la testa e nega che nei suoi film vi siano figure che evocano la ministra del Turismo. Però, precisa, è proprio vero il contrario. «La moda eccessiva degli ampezzani più abbienti, come Daniela Santanché, l’abbiamo creata noi con le nostre pellicole di alcuni decenni fa. Un colbacco enorme fu indossato da Carol Alt nel film Via Montenapoleone per sottolineare lo stereotipo della donna bella e annoiata del suo ambiente così opulento. È stata Santanché, come tanti altri protagonisti del mondo vip, a essersi ispirata a noi e non viceversa».
Parole sante, queste del notissimo autore: il suo cinema non è stato solo lo specchio dei tanti vizi e delle poche virtù degli italiani e della loro classe politica ma ne ha addirittura orientato gusti e comportamenti. «È capitato per i nostri film quello che è successo per Alberto Sordi, lui metteva in scena il paese reale ma poi gli italiani finivano per imitare i suoi personaggi», aggiunge il figlio del famoso regista, sceneggiatore e vignettista Steno. Ci troviamo nel suo studio romano di viale Parioli dove Vanzina arriva tutte le mattine alle 6 e 30: ha appena messo la parola fine a due testi per il cinema uno tratto dal suo romanzo thriller La sera a Roma e un altro, L’amore è una cosa pericolosa, in cui affronta il tema della difficoltà di esprimere i sentimenti più autentici.
«Sembra uscito da un film dei Vanzina»: questa constatazione è più ricorrente che mai in questi mesi governati dal centrodestra che sta facendo emergere anche le peggiori inclinazioni degli abitanti della Penisola, come la tendenza al turpiloquio. Il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi e il cantante Morgan, quando si sono esibiti con le loro battute pecorecce al museo Maxxi, non ci appaiono molto simili ai personaggi di S. P. Q. R. – 2000 e ½ anni fa, pellicola ambientata nell’antica Roma dove si sprecano parolacce? Facezie che, bisogna dirlo, al Maxxi vellicavano però anche il pubblico che se la spassava. Come mai?
«Di fronte alla performance di Vittorio mi viene spontanea la domanda: questa esibizione è un esempio del fatto che noi per anni ci siamo dedicati a fare la caricatura dei connazionali i quali poi si sono omologati e sono diventati scurrili e licenziosi proprio come noi li abbiamo descritti? Sgarbi era stato invitato al Maxxi in veste di attore. Però non è solo un performer ma anche un uomo politico e del suo ruolo doveva tener conto. Per capire la reazione degli spettatori una buona chiave ce la offre Paolo Villaggio. Mi raccontava che mentre si proiettavano i suoi film la sala era travolta dalle risate. A lui piaceva orecchiare le reazioni all’uscita. Gli astanti, che si erano sbellicati fino a un momento prima, appena fuori dicevano “ma che str…!”. Avrà commentato così anche il pubblico del Museo nazionale delle arti del XXI secolo».
Le battute volgari continuano a essere al centro delle cronache. Ieri due telecronisti della Rai si sono fatti notare per il loro sessismo durante i mondiali di tuffi. Leonarduzzi ha commentato in un fuori onda: “Le olandesi sono grosse ma tanto a letto sono tutte uguali”. Cosa ne pensa?
«Anche mi pronuncio fuori onda: “Che grande c…..a!».
Un cinema divenuto di culto, ammirato pure dalla sinistra, da Walter Veltroni a Fausto Bertinotti, quello a cui ha dato vita la premiata coppia dei Vanzina: come è nata la vostra galassia di avvocati, politici e commercianti evasori fiscali che tanto ci ricorda le nuove lobby?
«Quando abbiamo cominciato a lavorare per il cinema, a metà degli anni Settanta, ci siamo resi conto che esisteva un’Italia nascosta, che nessuno andava a scovare. Abbiamo così deciso di esplorare, criticandola, quella Penisola che nessuno descriveva perché c’erano molti pregiudizi ideologici. Noi, proprio come diceva Ettore Scola, non siamo mai stati moralisti ma abbiamo cercato di far emergere tutte le fragilità, senza però identificarci».
Il vostro universo è abitato da personaggi spesso arrivisti, cinici e sessisti. Il cavalier Silvio vi ha dato spunti per i vostri eroi cialtroni? Vi ha suggerito le maschere del vostro cinema? La sua presenza le mancherà?
«Certamente, sentirò la sua mancanza anche se Berlusconi non è mai stato il mio nume tutelare. L’ho conosciuto nel 1983-1984. La prima domanda che mi fece fu: “Mi spieghi come si fa un film”. Ho impiegato una ventina di minuti per proporgli una sintesi essenziale. Berlusconi in un minuto e mezzo riuscì a riassumere. Era geniale! Poi mi chiese se volevo collaborare con la sua televisione. Gli ho detto che mi riconoscevo nella frase di Jean-Luc Godard “Il cinema crea ricordi e la televisione crea l’oblio”. La sua risposta fu: “La libertà di un Paese passa dalla possibilità di cambiare canale”. Fui folgorato, aveva ragione. Cominciai a lavorare per lui e facemmo per prima cosa I ragazzi della 3° C. Si è creato così, con i nostri film, un immaginario degli italiani che riguardava la moda, il calcio, i viaggi, i temi della seduzione e dell’eros praticati anche in maniera più disinibita che negli anni del terrorismo. Un immaginario che è passato anche per le tv di Berlusconi e ha raggiunto la popolazione».
Totò, all’onorevole Trombetta incontrato in vagone letto, diceva: “Ma mi faccia il piacere!”. Oggi il potere è ancora così ridicolo? Cosa accade nella politica con gli esponenti di governo che litigano e poi fanno il karaoke dopo un’ecatombe di immigrati?
«I politici rispecchiano i loro elettori. Però il potere si merita di essere messo alla berlina. In Natale a 5 stelle abbiamo dato vita a una farsa con la regia di Marco Risi: è la storia di un presidente del Consiglio, un ex commercialista che ha truccato il curriculum e che si reca in missione ufficiale in Ungheria per rafforzare i rapporti con l’Italia. Allora il nostro riferimento era Giuseppe Conte, però oggi per certi versi la caricatura andrebbe bene anche per la premier Meloni così vicina a Budapest».
Meloni ha esortato a non fare spettacoli diseducativi, come le serie Gomorra o Mare Fuori. In cantiere adesso c’è la biografia di Goffredo Mameli. Lei cosa ne pensa?
«Allora non bisognerà più produrre nemmeno i film sui gangster: finirebbero per trasformarci tutti in Al Capone. Il cinema, le serie tv non devono avere una funzione didattica, come l’arte nel periodo del realismo socialista».
Si è parlato tanto di egemonia culturale della sinistra. Oggi è la volgarità che ha preso il potere?
«Abbiamo precorso i tempi con i nostri film. Le nostre macchiette e le nostre parodie sembrano incarnare la tipologia attualmente prevalente tra gli italiani. L’unico modo per combattere il modo di esprimersi sessista, grossolano e al limite della decenza sono ancora l’ironia e la satira».