La Stampa, 18 luglio 2023
Intervista a Maurizio Nichetti
Maurizio Nichetti riappare al comando di un film a più di vent’anni di distanza dall’ultimo Honolulu Baby e a settantacinque d’età: «Perché torno a girare? Non c’è un motivo preciso, o forse ce ne sono tre: una bella storia, un produttore che ci crede, Paco Cinematografica, e una pandemia mondiale che mi ha obbligato a stare in casa lasciandomi finalmente il tempo di scrivere». Il nuovo progetto ha un titolo, Amichemai, e una compagna di avventure di antica data, Angela Finocchiaro, in coppia inedita con un’altra donna atipica del nostro cinema, Serra Yilmaz, a mescolare l’umorismo stralunato e molto milanese della prima con l’esotismo serafico dell’attrice preferita di Ferzan Ozpetek.
A riprendere la cinepresa in mano è un personaggio dal profilo anomalo - Nichetti è attore, mimo, sceneggiatore, regista e ha sempre fatto il pubblicitario -, che da novembre di quest’anno girerà nella sua Milano, stessa città di Ratataplan, piccolo affresco comico e muto che finalmente rompeva con la cupezza degli Anni 70, quando ridere non era per niente da "compagni": «Mi sono fatto tutto il Sessantotto ad Architettura e in quel periodo in certi ambienti semplicemente non si poteva fare il comico. Nel ’79 invece, anno di Ratataplan, dopo un decennio terribile e faticoso, finalmente si poteva».
Lei si è formato con Bruno Bozzetto, animatore di grande talento.
«Sono anche stato protagonista di Allegro non troppo, dello stesso Bozzetto, che anticipava temi ambientalisti e certi populismi che si sarebbero manifestati tempo dopo».
Quali saranno i protagonisti del suo nuovo film? Lei reciterà?
«Le protagoniste saranno Angela Finocchiaro (già con Nichetti in Ho Fatto Splash, suo secondo film, ndr) e Serra Yilmaz, l’attrice di Ozpetek. Quanto a me, questa volta farò solo il regista».
Amichemai richiamerà lo spirito di Ratataplan?
«Non saprei come intendere l’accostamento: sarà una commedia, dato che non sono un comico pentito, ma quanto allo spirito di Ratataplan quello era un film muto, perché ero un appassionato di cinema muto, e molto eccentrico. Avevo lavorato con Bozzetto e frequentato una scuola di mimo, oltre ad aver fondato la compagnia Quelli di Grock, quella che si vede nel film».
Quel genere di teatro con giocolieri e trampolieri in Ratataplan non viene capito dal pubblico, i contadini di una cascina, che finiscono per picchiare gli attori: una metafora delle incomprensioni di allora fra movimento studentesco e classi popolari?
«Più che altro un problema delle avanguardie intellettuali con le masse operaie. Quel film è arrivato alla fine degli Anni 70, quando eravamo tutti stufi di doverci schierare da una parte o dall’altro e c’era la questione di prendere le distanze dalla violenza. Poi nel ’77 arrivarono gli indiani metropolitani con lo slogan "una risata vi seppellirà" (prontamente trasformata in risotto nei cortei di allora) e il clima cambiò».
Lei ha fatto teatro prima del cinema e ha portato certe esperienze nel film.
«Sì, il titolo di un nostro spettacolo era Spariamo alle farfalle, ci riconoscevamo nei clown del circo. Ratataplan era una piccola parodia delle compagnie che andavano a fare spettacoli nelle campagne coi trampoli. Sono sempre stato contro le nicchie, intellettuali e di pubblico».
Che tipo di commedia possiamo aspettarci nel suo nuovo film?
«Non ho mai fatto commedia all’italiana, perché è realistica e rappresenta i peggiori comportamenti dell’italiano medio. Penso che un autore, se si concentra, riesca a essere più universale se si discosta dalla realtà politica e dal contesto che lo circonda. Dev’essere qualcosa che vada al di là dell’attualità, come facevamo in Allegro non troppo. Nei film di Jacques Tati o Fellini, qualunque titolo si prenda, non è possibile capirne il contesto politico. Farò le cose che so fare con una storia originale mia».
Manterrà uno stile surreale?
«A dire il vero Ratataplan era molto comprensibile, non surreale, anche se non lo collochi in una realtà politica precisa, il che ne fa un film che regge bene ancora: l’ho fatto vedere in una sala da 500 persone in India, dov’ero giurato a un festival e dove mi avevano chiesto di portare un mio film. Era pieno di ragazzi che ridevano come matti. Che poi, come diceva Fellini, i film non vengono mai come vuole l’autore, ma come vogliono loro».
Negli anni in cui lei ha cominciato a fare cinema nascevano talenti comici come Troisi e Verdone, come vede la situazione attuale?
«Vedo che è scomparso completamente l’umorismo dalle serie tv, forse perché l’ironia si presta poco alla serialità. La commedia è penalizzata. In passato il cinema attingeva ai comici tv come quelli usciti dal programma Non Stop, penso a Verdone, Troisi, ai Giancattivi. Oggi Ficarra e Picone, o Zalone, vengono da Zelig e dalla popolarità televisiva. Sono riusciti ad andare al di là dei successi tv».
Trova che oggi ci sia carenza di giovani comici bravi?
«Forse ce ne sono e non li conosciamo, perché magari fanno i loro show su Tik Tok o altri social. La crisi semmai è del cinema».