La Stampa, 17 luglio 2023
Sposare sé stessi. La soligamia
Ho sperimentato l’unione sologama. Ora sono marito di me medesimo, anche moglie però. Per non negarmi nulla ho attraversato anche la terza opzione, sono diventato così anche compagn* di me stess*.
L’officiante di questa mia plurima esperienza matrimoniale solitaria è stata la performer digitale Elena Ketra, che al Gazometro di Roma in questi giorni ha installato una postazione dove è possibile coronare la propria storia d’amore autarchico, con marcia nuziale in chiave sologamy. La pratica, pare che abbia origini giapponesi. A Kyoto un’agenzia specializzata offrirebbe pacchetti per matrimoni "self-wedding", a cui sarebbero interessate soprattutto donne alla ricerca del proprio benessere interiore.
La cerimonia matrimoniale sologamica da me celebrata è però stata austera, algida e tecnologica. Tutto si è svolto davanti al touchscreen di un totem che riproduce uno smartphone grande quanto una persona, nulla è stato concesso allo sfarzo pacchiano, a cui ci ha abituati la classica iconografia barocca del wedding planning di cultura mediterranea.
Enzo Miccio inorridirebbe; tutto avviene nell’angolino di una specie di parcheggio sotterraneo in cemento armato a vista, ai margini del Festival della visione e cultura digitale. È qui che ci si giura eterno amore guardandosi allo specchio, lo spiega un pannello di cartongesso con il manifesto artistico della performer: «Amarsi è necessario per poter amare in modo libero ogni altro essere umano». Per il resto l’arredo del tempio dell’amore solingo è minimale al massimo grado: un tavolinetto pieghevole con una sedia in plastica bianca, un estintore a parete.
Per chi giudicasse persino questa location obitoriale un cedimento allo sfarzo, esiste la possibilità di formalizzare la cerimonia anche on line, in pochi istanti da www.sologamy.org.
Tutto questo però è sicuramente parte del messaggio dirompente dell’installazione: «Filo conduttore della ricerca di Elena Ketra è l’empowerment femminile e l’inclusione sociale, ponendo come centro della riflessione il sé come persona, oltre stereotipi di genere». Proprio in forza di questo non mi sono limitato all’autosposalizio nella mia banale collocazione anagrafica, per farlo però sono stato costretto al triplice adulterio nel giro di un paio di minuti. Il problema di coscienza che questo mi ha provocato ancora debbo elaborarlo.
Mi piace in assoluto la demitizzazione dell’orpello cerimoniale che ancora abbiamo la sfrontatezza di chiamare "festa di nozze", è un retaggio anacronistico che persiste a certificare l’illusione di eternità alla circostanza più transeunte che mai possa verificarsi, ovvero l’attrazione tra due persone finalizzata all’accoppiamento.
È comprensibile un’assegnazione civile di condivisione tra chi dovrà fare un mutuo, spartirsi oneri familiari, convivere e sostenersi quando possibile, ereditare. È pure parte delle libertà individuali scommettere sull’esistenza di un principio superiore e metafisico, che si farà garante del carattere imperituro di tale unione. Ammettiamo pure che a certe latitudini le convinzioni sociali impongano, in nome del quieto vivere, che questo passaggio avvenga in parchi a tema appositamente costruiti, con un esercito di parenti e amici agghindati e speranzosi di potersi satollare a fronte di denaro gettato in liste di nozze o rimpolpamento di bustarelle, acquisto di abbigliamento, scarpe trucchi e parrucchi da bruciarsi in una sola giornata.
Potrà pure esserci una via alternativa allo sprezzante raccapriccio da parte di chi si sente superiore a tutto questo? Ogni pretesa di originalità sponsale è tracimata velocemente nella burinate del tipo matrimonio in masseria, officiato da un Masai, del banchetto etnico-vegano, della sposa con le sneakers. Si scorra a proposito l’illuminante rassegna on line "case pacchiane" e se ne avrà ampia documentazione. Tutto già visto, fatto, emulato con accanimento fallimentare in ogni possibilità permessa dalla meccanica quantistica. Ecco quindi che è possibile che qualcuno si metta in fila davanti all’ipertelefonino del Gazometro, per sposarsi con una persona che sicuramente non darà sorprese nel futuro.
Come anticipato, io per strafare ho seguito tre volte la stessa procedura, per ognuno dei miei tre matrimoni con la mia persona. Ogni volta quindi ho promesso di amarmi e prendermi cura di me, di non permettere a nessuno di ferirmi o di farmi del male (se a qualcuno però questo desse un po’ di gusto? Si può derogare? È ammesso il cilicio e l’autoflagellazione? Non vorrei fosse discriminatorio verso le minoranze che amano tali pratiche catartiche).
Ho anche promesso che mi batterò sempre per difendere le mie idee e la mia libertà (lo sto dimostrando in questo mio perculaggio benevolo). Ho infine promesso che mi basterò e non mi lascerò mai solo (anche sola e sol*, naturalmente).
Purtroppo tra le tre opzioni di rilascio della certificazione degli avvenuti matrimoni ho scelto quella più micragnosa: il rilascio gratuito di un pdf spedito per mail. Una signora attempata chiedeva se avessero valore legale, tutto oggi è credibile e questo è il segno della contemporaneità.
Forse avrei potuto anche permettermi l’opzione intermedia: «Certificato di matrimonio firmato a mano dall’artista in cartoncino bianco 40X40», al costo di euro 85,40. Mai avrei però potuto ambire all’offerta premium: sempre firmato a mano da Elena Ketra ma con sontuosa «stampa su alluminio specchiato 70x70, certificato e numerato» per cui alla fine 732,00 euro sembrano persino pochi.
Ora che faccio? Parto per un viaggio di nozze distribuito in tre persone? Non so se il triplice auto matrimonio sarà duraturo, però al momento posso solo immaginare che la mia romantica luna di miele potrebbe sconfinare nel periglioso territorio onirico dell’orgiastico affastellamento.