La Stampa, 17 luglio 2023
Storia del Codice di Camaldoli
Mentre Vittorio Emanuele III liquida Mussolini con “il colpo di stato reale” del 25 luglio e gli Angloamericani affondano la guerra fascista con lo sbarco in Sicilia e le bombe su Roma, nel monastero aretino di Camaldoli si riuniscono una trentina di intellettuali di fede cattolica, teologi, filosofi ma soprattutto esperti nei differenti rami delle scienze sociali (economisti comePasquale Saraceno, tributaristi come Ezio Vanoni, dirigenti d’industria come Sergio Paronetto, demografi come Paolo Emilio Taviani, giuristi come Giorgio La Pira). Ufficialmente si tratta di una “Settimana di teologia per laici”, organizzata dal 18 al 24 luglio 1943 per ragionare sui temi legati all’impegno dei cattolici nella vita sociale e coordinata da mons. Adriano Bernareggi, docente di diritto ecclesiastico e vescovo di Bergamo; di fatto, si trasforma nell’ambito di elaborazione di un documento programmatico, il Codice di Camaldoli, che diventerà riferimento e linea guida per l’azione della nascente Democrazia Cristiana. Nella sua stesura definitiva il documento verrà pubblicato solo nell’aprile 1945 e si gioverà anche del contributo di personaggi non presenti a Camaldoli, tra cui Aldo Moro e Guido Gonella, ma l’impostazione di fondo matura nelle discussioni e nei confronti di quella settimana: simbolicamente, l’Italia nuova della democrazia nasce negli stessi giorni in cui si estingue la vecchia Italia del regime.Nei prossimi giorni a Camaldoli un convegno di studi ricorderà l’ottantesimo anniversario di una vicenda intellettuale tanto gravida di futuro e a sottolinearne l’importanza è l’autorevolezza delle presenze: ad inaugurare i lavori, il 21 luglio, sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la relazione introduttiva sarà affidata al cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana.Per molti aspetti, gli esiti dell’incontro di Camaldoli non erano scontati. Il rapporto tra i cattolici e lo Stato Italiano erano stati faticosi: prima la breccia di Porta Pia e il “Non Expedit” di Pio IX, poi le aperture di Leone XIII e della Rerum Novarum, poi ancora l’esperienza del Partito Popolare di don Sturzo: con Mussolini erano venuti i compromessi e le compromissioni, la solidarietà istituzionale dei Patti Lateranensi grazie «all’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare» (Pio XI), ma anche le frizioni con l’Azione Cattolica per la concorrenza nell’educazione della gioventù; nel 1940 c’era stata l’ambigua neutralità di fronte alla guerra di Pio XII, il Papa che «aveva sempre l’avvertenza di dire il peccato senza fare il nome del peccatore – sono parole di Ernesto Rossi –, e di prendere la difesa della giustizia senza indicare da quale parte stesse di casa l’ingiustizia».Nel 1943 il quadro muta: la guerra fascista e l’alleanza con Hitler stanno portando il Paese alla catastrofe, si profila una futura Europa dominata per metà dal comunismo sovietico, per l’altra dalle due democrazie rappresentative protestanti (Usa e Inghilterra). Che ruolo dare ai cattolici in un’Italia la cui collocazione politica internazionale è ancora incerta ma dove la Chiesa ha la sua sede storica? A Pio XII sembra che la risposta sia un partito cristiano che possa richiamarsi ai valori di libertà e di democrazia, che sia vittorioso con le armate anglo-americane ma che possa tutelare le posizioni della Chiesa nei confronti di assetti sociali improntati al laicismo o ispirati dal socialcomunismo. In questa prospettiva nascono gli sforzi organizzativi di vertice animati da Alcide De Gasperi, Mario Scelba, Giovanni Gronchi, Giuseppe Spataro, che daranno vita alla Democrazia Cristiana. E in questa prospettiva si inserisce la settimana di studi di Camaldoli, lo sforzo di definire una posizione che superi insieme sia la concezione corporativa del regime fascista, sia le derive sociali del liberismo senza controllo, sia le esasperazioni del comunismo.Il risultato è la concezione interclassista che sarà alla base della politica democristiana in cinquant’anni di governo (al netto delle degenerazioni clientelari e delle corruzioni ben note). Due i principi fondanti: il “bene comune” e l’"armonia sociale”. “Bene comune” significa che lo Stato deve creare le condizioni perché l’insieme dei cittadini possano sviluppare al meglio le loro qualità e la loro vita materiale, intellettuale e religiosa. La famiglia, ambito prioritario di espressione della personalità di ognuno, non è di per sé sufficiente a garantire la piena esplicazione delle proprie attitudini; il contesto sociale all’interno del quale viviamo, richiede una dimensione collettiva (lo Stato, appunto) capace di rimuovere gli ostacoli e garantire le condizioni per la piena realizzazione degli individui. “Armonia sociale” significa che per ordinare la vita di una collettività ed evitare le tensioni, occorre garantire la giustizia sociale: questo significa uguaglianza dei diritti di carattere personale, ma anche redistribuzione delle ricchezze affinché nessuno manchi del necessario, contrasto al concentramento del potere economico in poche mani, solidarietà espressa non solo con la carità privata ma con l’assistenza pubblica, collaborazione lavorativa tra individui con funzioni differenti ma con l’uguale obiettivo della crescita della società.Camaldoli non mette in discussione il diritto di proprietà, però ne limita gli abusi associandolo al concetto di “dignità della persona umana": l’imprenditoria è libera sino a quando i suoi investimenti garantiscono insieme profitti privati e benessere pubblico. Non è difficile leggere tra queste righe principi che entreranno a far parte della Costituzione repubblicana e che animeranno le politiche del dopoguerra, dall’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, alla politica abitativa popolare delle “case Fanfani”, alla costituzione e gestione di enti a partecipazione statale, alle infrastrutture del piano autostradale, alla nazionalizzazione dell’energia elettrica. La ricerca storica non può prescindere dal ricordare i troppi deragliamenti che quella strada ha dovuto registrare nel corso di mezzo secolo successivo: tutto questo non inficia però l’onestà intellettuale, la chiarezza e la coerenza del programma elaborato a Camaldoli, mentre a Roma cadevano le bombe su San Lorenzo e il re cercava di andare “oltre” il fascismo.