La Stampa, 17 luglio 2023
L’Istat senza presidente
In principio sembrava “soltanto” un’impuntatura di Matteo Salvini. Ma col passare dei mesi il balletto attorno alla presidenza dell’Istat si sta trasformando – a riflettori spenti – in un garbuglio tra i più spiacevoli nella storia del governo Meloni: una sgrammaticatura in termini di cultura istituzionale. Un dato eloquente: il primo aprile la maggioranza si era impegnata a presentare «entro dieci giorni» in Parlamento un nome per la presidenza già scaduta. Da allora di giorni ne sono passati addirittura 108, non se ne è saputo più nulla e la procedura è sospesa nel vuoto. Finita in un binario morto. Col risultato che l’Istat, l’istituto di statistica chiamato al delicatissimo compito di “certificare” in Italia e in Europa piccoli e grandi numeri dello Stato italiano, è senza guida.I leader di governo non riescono a trovare un accordo su una personalità di alto profilo sulla quale ottenere, come è sempre accaduto, il voto dei parlamentari delle opposizioni, di fatto obbligatorio perché in Parlamento non basta la maggioranza semplice. Ne serve una qualificata, per la buona ragione che l’Istat è una istituzione chiamata a gestire statistiche delicate, delle quali devono fidarsi anche le istituzioni europee. Su quei numeri non sono consentiti “scherzi": i cittadini greci alcuni anni fa hanno pagato amaramente i trucchi contabili architettati dai loro governanti.Una storia esemplare, ricca di sotterfugi. A inizio anno si era mosso per primo Matteo Salvini con Giorgia Meloni: «Voglio che alla presidenza dell’Istat resti il professor Gian Carlo Blangiardo», al quale la Lega è affezionata da anni per le sue battaglie sulla natalità. Ma durante il suo primo mandato il professore aveva raggiunto l’età della pensione e come tale non era ricandidabile. Come by-passare la legge? Per confermare Blangiardo, i legulei del governo si sono inventati una norma “ad personam” inserita addirittura nel “Decreto Pnrr": da una parte si consentiva il recupero dei pensionati, per implementare il Piano di rilancio e resilienza, ma si permetteva il ripescaggio di ultra-settantenni anche per gli «incarichi di vertice presso enti e istituti di carattere nazionale», che nulla hanno a che fare col Pnrr.Una soluzione acrobatica piaciuta a pochi: non l’hanno gradita i silenti alleati di governo della Lega, ma si è subito capito che era osteggiata dalle opposizioni, che sono decisive: sul nome del presidente è obbligatorio il via libera delle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato con la maggioranza qualificata dei due terzi. Un quorum di garanzia, persino superiore a quello richiesto per il Presidente della Repubblica e uguale a quello imposto dalla Costituzione per i giudici costituzionali e per i membri del Csm.Appena si è capito che nessun parlamentare delle opposizioni avrebbe votato Blangiardo neppure a scrutinio segreto, il primo di aprile, il presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato Alberto Balboni (Fdi) ha concesso al governo, in base alla legge, «una proroga di 10 giorni» per mandare in votazione Blangiardo, oppure per proporre un altro nome. Da allora sono trascorsi tre mesi e mezzo. Blangiardo è stato abbandonato dai suoi supporter tra “color che son sospesi” e quanto all’Istat è nelle mani di un presidente facente funzione, Francesco Maria Chelli, che ovviamente si muove con la necessaria circospezione.Come se ne uscirà? Domani il vicepresidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato Dario Parrini del Partito democratico intende porre la questione in modo formale: «Siamo davanti ad un caso nel quale si sommano arroganza sciatteria e incultura istituzionale. Sinora hanno prevalso i mercanteggiamenti opachi dentro la maggioranza, indifferente al destino dell’Istat, che è un’istituzione del Paese, come dimostra il quorum richiesto, che è sempre stato garanzia di trasparenza e autorevolezza».