la Repubblica, 17 luglio 2023
Tra i dannati della Roma stravolta da Caronte
La “città infernale” ha i suoi gironi, ma per effetto della temperatura si sono capovolti: chi più ha, più soffre. Per accorgersene basta attraversarla, in un giorno di ordinaria calura a 42 gradi. Trent’anni dopo, come un Nanni Moretti senza diario, ma a bordo dello stesso scooter, percorro la capitale affranta: dalla periferia al centro. Risulterà evidente il rovesciamento della gerarchia sociale tra chi è rimasto, senza aver partecipato alla ola scoppiettante dei bagagliai che si chiudono il venerdì sera, plaudendo alla fuga in qualunque direzione.
Signore adesso è chi può starsene a casa, non avendo niente da fare, niente da vedere, nessuna pulsione o attrazione. Chi si cela dietro le tapparelle abbassate dei palazzoni di periferia e irride il dovere o la necessità di uscire. Deserte, infatti, le strade della Magliana, la Portuense, poco mosse Laurentina e Colombo, venti nulli da nord, sud, est e ovest. I rifiuti esondati dai cassonetti suppurano al sole, festanti per la nuova nomina del Gran Raccoglitore, che celebrano crescendo e moltiplicandosi.
Sotto il Gazometro sparuti passanti si levano la maglietta e la infilano ripiegata nella cinta dei pantaloncini, come maratoneti senza un percorso. Sembrano tutti andare alla spiaggia, l’ultima.
Per vedere i dannati bisogna avvicinarsi al centro, alle sue bellezze roventi, protette da transenne intoccabili, da custodi sfiniti e dal desiderio, inconfessato ma collettivo, di passare oltre, al prossimo tassello, alla nuova schermata della guida digitale o a pagina 37 della Lonely Planet. Sono venuti da lontano, per farsi torturare nell’eternità. Hanno preso auto, treni, aerei; pagato biglietti e carburanti, vitti e alloggi; patito scioperi e ritardi. Si sono armati di pazienza e sandali. Portano il peso dello zaino e centomila gavette bollenti.
Il turismo è uno sport estremo, l’unico praticato dalle masse a livello internazionale. Dovrebbero inserirlo tra le specialità olimpiche. Richiede allenamento, volontà, programmazione. E apposite attrezzature. Gli ambulanti chenon hanno fatto un euro per mesi con gli ombrelli, si rifanno con gli ombrellini. Sbucano dagli androni e dai cipressi proponendo colorati parasole da damina sul Mekong, riuscendo a spacciarli a corpulenti scandinavi che barattano il pudore con un briciolo di sollievo.
Si vedono più cappellini da baseball che allo Yankee Stadium. Le bottiglie d’acqua svuotate e abbandonate sono una traccia di Pollicino che conduce ai varchi del colonnato, alla soglia del Pantheon,al verdetto della Bocca della Verità. Si spezzano le geometrie: nessuna fila è più una retta. Da quella dei taxi alla stazione Termini (cavalca vaquero!) all’altra per vedere il Cupolone da un oblò/serratura accanto al giardino degli aranci: i primi si dispongono linearmente, segue un vuoto e si continua a metri di distanza, all’ombra.
Chi non capisce, impara. Sono gli schiavi della tabella di marcia: tre giorni per fare i compiti, esaurire la lista, divorare ogni piatto tipico. Non importa il tempo meteorologico, conta soltanto il tempo a disposizione. Le farmacie inscrivono nella croce verde luminosa i 42 gradi di un mezzogiorno di fuoco come fosse un avvertimento: è qui che vi aspettiamo, con le nostre bustine di potassio e magnesio (non ve l’avevamo detto?). Solerti camerieri preparano l’esca incongrua dei dehors: irrigano i sanpietrini, ma dopo tre minuti sono già arsi. A piazza San Pietro una suora si concede il vezzo di un parasole verde mentre guarda la basilica da lontano, oltre il recinto, e prega, le mani congiunte, avvinghiate al manico della sua salvezza.
A Castel Sant’Angelo, un lampo: è un ambulante straniero con la sua mercanzia in spalla che fugge da un controllo di polizia. Un suo collega lo supera di slancio. Dev’essere la staffetta tra Cerbero e Caronte. Un agente finge di inseguirli, ma dopo pochi metri si ferma, si piega sulle ginocchia, respira e dietrofront. Un bambino si ferma davanti a un grande ventilatore nero tra i tavoli di un ristorante: quello scuro oggetto del desiderio. Una donna immerge nella fontana una delle sue scarpe da ginnastica: le hanno spiegato che un pediluvio sarebbe da maleducata. Uomini si fanno sventagliare dalle compagne.
Hanno tutti fame, fame d’aria. Nessuna trattoria gliela può servire, in cucina non l’hanno preparata: si pensava che il surriscaldamento fosse un fuori menù scarabocchiato dal fanatismo ultra-ecologista. Così è, che ve ne pare? Lo straordinario si fa ordinario, abituarsi potrebbe non bastare: è l’eccezione che non si abitua agli esseri umani.
La ventola di raffreddamento dello scooter non smette più di soffiare, implora di tornare indietro, verso quartieri dormitorio dove questa canicola è soltanto un incubo e si aspetta domani come un qualsiasi altro giorno, appena più caldo.