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 2023  luglio 16 Domenica calendario

Il paese di Pane amore e fantasia

Settant’anni fa, agli inizi del 1953, Vittorio De Sica cercava un paese “scassato”, che nel suo lessico significava integro, anche nelle ferite di guerra, per girare una commedia agrodolce diretta da Luigi Comencini, con la sceneggiatura pronta, scritta dallo stesso Comencini e da Ettore Maria Margadonna. Quest’ultimo aveva pensato di ambientare nella sua natìa Palena, in Abruzzo, la storia di un maresciallo donnaiolo, Antonio Carotenuto (De Sica), spedito in servizio tra la Ciociaria e la Campania, dove civetta con una ragazza ribelle, la Bersagliera (Gina Lollobrigida), innamorata del carabiniere Stelluti (Roberto Risso).
Ma Palena era stata compromessa da una ricostruzione sommaria e De Sica, incaricato di trovare un luogo adatto dal produttore Marcello Girosi, chiese consiglio all’amico Adolfo Porry-Pastorel, sindaco di Castel San Pietro Romano, che mise a disposizione il suo paese a meno di venti chilometri dalla Capitale. Quel borgo, oggi tra i più belli d’Italia, che allora contava 680 anime, sul cocuzzolo di uno dei monti prenestini, il Ginestro, a 700 metri d’altezza, era perfetto per ospitare la Sagliena di Pane amore e fantasia. Così, il villaggio di impianto medievale, la cui rocca aveva ospitato anche Jacopone da Todi, prigioniero di Bonifacio VIII, viene improvvisamente invaso dalla colorata gente di Cinecittà con i suoi truccatori, i camion carichi di gruppi elettrogeni, gli artigiani, i tecnici, le macchine da presa e gli operatori. E soprattutto dalle star del film, oltre a De Sica, Lollo e Tina Pica, nel ruolo dell’inserviente ficcanaso Caramella. Dall’abbrivio di quell’esperienza, la Lollo, cui nel 2018 fu conferita la cittadinanza onoraria, comincia una carriera di interprete anche comica e Castel San Pietro diventa lo scenario incontaminato del cinema tra i monti albani e la città eterna, ospitando, tra gli altri, Totò, Sylva Koscina, Ugo Tognazzi.
Salendo dalla statale con in testa la marcetta a tratti zampognara di Alessandro Cicognini per Pane, amore e fantasia non è difficile riconoscere la stessa strada su cui si inerpica la corriera carica di bagagli, voluta da Comencini per la prima scena. Sullo sfondo un via vai di donne a dorso dell’asinello, con le brocche sul capo, velato di nero se anziane o sposate. Naturalmente della guerra oggi non c’è più traccia: i vicoli stretti e le case sono rimessi in ordine senza leziosaggine. Non ci sono più i muri crollati su cui si informa il maresciallo durante la prima ricognizione del luogo. «Bombardamento?», domanda. E gli viene risposto: «Terremoto». E al successivo gruppo di macerie, Carotenuto constata: «Terremoto» e gli ribattono «Bombardamento». Come a dire, nel fatalismo fescennino, dove non sono gli uomini ci pensa la Natura.
Si riconosce facilmente la piazza dove la Bersagliera balla indemoniata nel sequel Pane, amore e gelosia dell’anno dopo, ancora diretto da Comencini. Invece, nel terzo e ultimo capitolo della saga, Pane amore e…, Castel San Pietro si vede solo all’inizio: è cambiato il regista, ora è Dino Risi, è arrivato il colore e la nuova bellissima, la Loren, aspetta Carotenuto a Sorrento.
Risi per dare l’addio al paese romano inquadra Palazzo Mocci, prospicente la casa da cui il maresciallo spia estasiato la levatrice Annarella (Merisa Merlini) uscire in déshabillé. Da lì Caramella/Tina Pica, costretta a “emigrare” per seguire il suo maresciallo, disperata si rivolge al patrono San Rocco, nonostante il paese prenda il nome dall’apostolo Pietro, che avrebbe predicato su questi rilievi. De Sica esce e guarda case e scalinate in pietra, ancora intatte, mentre un compaesano lo apostrofa: «Marescià è proprio vero che andate in pensione?». E Carotenuto: «No, congedo illimitato. Noi carabinieri non andiamo mai in pensione», risponde in toni patriottici, mentre il parroco gli sussurra di stare attento a non ricadere nella trappola della seduzione anche a Sorrento.
È un ingenuo e innocuo rimprovero, una mera coloritura di fronte all’integrità umana e professionale di Carotenuto. Margadonna e Comencini calcano infatti la mano perché il primo soggetto viene rifiutato in quanto “lesivo all’onore del corpo”. Il produttore Girosi la spunta imponendo De Sica al posto di Gino Cervi e facendo poi scrivere nei titoli di testa: «La vicenda che stiamo per raccontarvi è immaginaria. Ma tuttavia è una vicenda umana. I personaggi la vivono in veste di carabinieri, ma non per questo cessano di essere uomini». E nel successivo capitolo della Gelosia rincarano la dose con una gigionesca excusatio sull’“espansività femminara” di Carotenuto: «pur nell’ambito della tradizionale umanità latina… insegna e impone inflessibile disciplina morale».
Risi ritorna sul monte Ginestra con la Pica per La nonna Sabella del 1957, e così fa Giorgio Bianchi nel 1958 per il sequelLa nipote Sabella. Lo stesso anno Carlo Ludovico Bragaglia vuole ambientarci È permesso Maresciallo? (Tuppe-tuppe marescià), mentre Luciano Salce decide di portarci Tognazzi per Il federale nel 1961. Sergio Corbucci fa salire di nuovo De Sica in compagnia di Totò ne I due marescialli (1961), Blasetti vi trascina Liolà nel 1963 e Pietro Germi più tardi, nel 1970, gira alcune scene di Le castagne sono buone. Nel 1965 la piazza del paese compare in una breve scena del film Menage all’italiana di Franco Indovina, ancora con Ugo Tognazzi, mentre lo stesso slargo, camuffato da villaggio alpino, spunta nel sesto episodio dello sceneggiato televisivo Verdi di Renato Castellani del 1982, con Ronald Pickup nel ruolo del maestro e Carla Fracci in quello di Giuseppina Strepponi, che decidono di sposarsi qui.
Ora il paese, che ha aumentato, in controtendenza allo spopolamento montano, il suo numero di abitanti a 837, ha un’impronta armoniosa con bei restauri conservativi in pietra. Un simpatico bar nel cuore del centro emana una vitalità ruspante e burbera e l’atmosfera è placida e sonnacchiosa dietro le insegne dei ristoranti. In realtà qui, nei secoli, se le sono date di “santa” ragione. La Rocca dei Colonna, eretta nel punto più alto dell’acropoli nel 970 d.C. da Stefania dei Conti di Tuscolo, sorella dell’allora pontefice Giovanni XIII, è stata testimone delle lotte tra il Papato e i Colonna. La potente famiglia romana ne acquisì la proprietà attorno al 1100 e la conservò fino al 163o, quando entrò nei possedimenti dei Barberini. Nelle sue umide stanze, adibite a prigione, Jacopone da Todi compose lo Stabat Mater e Corradino di Svevia vi fu rinchiuso nel 1268 prima di essere trasferito a Napoli per la decapitazione.Nel 1848, poi, tra queste dolci pendici i soldati della Repubblica Romana, guidati da Giuseppe Garibaldi, si presero a schioppettate con quelli del Regno delle Due Sicilie.
Di queste battaglie oggi non c’è traccia, anzi il paese ha una marcata vocazione alla pace, cui si inneggia con simboli e steli. Dalla chiesa di Santa Maria della Costa, alla fine del paese, che nel XIII secolo fu eremo della Beata vergine Margherita Colonna, passa un percorso di trekking che unisce Roma a L’Aquila. Qui, tra sentieri che in qualche punto hanno conosciuto cure migliori, si snoda il cammino naturale dei parchi che attraversa 42 borghi caratteristici tra Lazio e Umbria. Si scende a piedi in mezzo a bellissimi prati di fiori selvatici verso Palestrina, Praeneste, la città latina celeberrima per il tempio della Fortuna Primigenia del II sec a.C. È il Santuario dedicato alla dea Fortuna, dove gli antichi romani si recavano per predizioni e auspici. Nel 2019 lo ha fatto anche Ferzan Özpetek con La dea fortuna, film vincitore di due David di Donatello, per la migliore attrice protagonista a Jasmine Trinca e per la miglior canzone originale a Diodato.
Molti anni prima la Lollo con la Bersagliera si era aggiudicata un nastro d’argento per la recitazione e Pane, amore e fantasia detiene ancora il diciannovesimo posto nella classifica dei film italiani più visti di sempre. Anche se si è degli illuministi di ferro, una carezza alle vecchie pietre non può far male.