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 2023  luglio 16 Domenica calendario

Biografia di Aleksandra Kollontaj

Aleksandra Kollontaj, chi era costei? Se lo chiede Hélène Carrère d’Encausse nell’attacco della biografia che ha dedicato a «questa figura dimenticata». In realtà non c’è libro, memoriale, epistolario, indagine storica a proposito della Rivoluzione russa in cui la compagna Kollontaj (1872–1952) non venga citata e discussa. Barricadiera della prima ora, spiccava su tutti: aristocratica nel gesto, elegante nel vestire, ardente nell’oratoria, versata in inglese, tedesco, francese e finlandese, suoi erano una tenacia, una passione e un accanimento senza pari.
La guardiamo nelle fotografie, le folte sopracciglia a emiciclo, gli occhi chiari e freddi, la bocca serrata e priva di sorriso: meglio non contarsi tra i suoi nemici.
Pietroburghese, figlia di un ufficiale nobile dell’esercito imperiale, la Kollontaj crebbe tra viaggi e privilegi serbando un carattere ribelle, che la portò molto giovane a sposarsi per dispetto alla famiglia. Fu nel 1896, quando visitò col marito uno stabilimento tessile a Narva, che scoprì la condizione di schiavitù in cui gli operai, e soprattutto le operaie, erano tenuti: orari di lavoro inumani, camerate gremite e insane, sfruttamento e abbrutimento, salari irrisori. Le si rivelò la duplice missione cui dedicare l’intera vita, la rivendicazione proletaria e la lotta per i diritti delle donne. E capì presto, studiando la teoria marxista a Zurigo, che i due versanti facevano parte di un unico sistema: i diritti delle donne non si potevano ottenere senza ribaltare l’ordine economico, politico e giuridico.
Dopo la pubblicazione di articoli e del primo libro, dedicato alla condizione operaia in Finlandia, Aleksandra si ritrovò nel mirino della polizia zarista. Per un decennio si tenne al largo, viaggiando, studiando, stringendo relazioni con le femministe occidentali. Tornò a Pietrogrado nel 1917, l’anno della Rivoluzione: Lenin la volle quale dirigente del Soviet e «Commissario del popolo per gli affari sociali», di fatto ministro alla guida di un dicastero importante.
Con Vladimir Il’i? il rapporto non fu semplice, sia perché la Kollontaj si era dapprima schierata con i menscevichi, sia per la disparità di opinione sulla guerra (era per la pace ad ogni costo), sia per la presenza di altre donne di rilievo nell’orbita di Lenin, la moglie Nadežda Krupskaja e l’amante Inessa Armand, sia perché al leader risultava indigesta la libera concezione della famiglia e della sessualità femminile propugnata dalla Kollontaj. Ma non poteva farne a meno, e il Codice di famiglia del 1918, che rovesciava secoli di diseguaglianza tra i generi, resta il capolavoro della nostra eroina. Una volta al potere Aleksandra combatté, fu sconfitta, esiliata e richiamata; divenne portavoce effettiva di Lenin ma pure oppositrice della Nuova politica economica (Nep), che avrebbe tradito gli ideali della Rivoluzione: di quella fase storica, della sua utopia e del suo dramma fu una protagonista veemente.
Con Stalin, che la ricattava e la blandiva dalle colonne della «Pravda», le cose cambiarono: rimossa e promossa, venne spedita a Cristiania in seno alla legazione commerciale. Nel 1924 presentò le credenziali al re di Norvegia e divenne la prima donna ambasciatore del suo Paese, ricoprendo poi lo stesso incarico a Città del Messico e a Stoccolma. Fu efficace nel ruolo e munifica nella rappresentazione di sé e dell’Urss: a più d’uno, in patria, accadde di domandarsi quanto compatibili fossero il comunismo e la collezione di pellicce, la causa operaista e i ricevimenti sontuosi. Sta di fatto che Aleksandra Kollontaj, cui toccò di assistere alle purghe, allo spegnimento della fiamma rivoluzionaria soffocata da sordide trame burocratiche, alle deportazioni e all’assassinio dei due uomini più importanti nella sua vita, fu l’unica dei vecchi bolscevichi a essere risparmiata da Stalin.
Negli ultimi anni, prima di morire a Mosca nel 1952, ripeteva stancamente e cinicamente gli slogan in favore del tiranno. Le sue espressioni di giubilo gratuito fanno pensare ai Finali di certe Sinfonie di Šostakovi?, dove l’ottimismo è forzato e il trionfalismo addita il vuoto.
Hélène Carrère d’Encausse ne racconta la storia con stile nitido e oggettivo. Le trame del potere vengono dipanate ed esposte con straordinaria chiarezza. È però altrove e soprattutto nella produzione narrativa (si trova ancora sul web il romanzo Vassilissa, edito da Savelli nel 1978) che va cercata la chiave dell’enigma di Aleksandra: lì si rivelano, insieme con la furente passione politica, le trepidazioni, i dubbi, la nostalgia, la segreta malinconia di questa donna formidabile.
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Hélène Carrère d’Encausse
Aleksandra Kollontaj. La valchiria della rivoluzione
Einaudi, pagg. 192, € 23