Domenicale, 16 luglio 2023
L’intelligenza artificiale: mettersi di traverso?
forse stavolta è il caso di mettersi di traversoChatGpt/2Roberto CasatiDead End Gallery Arte per bambini. Lily Chen utilizza l’intelligenza artificiale Le discussioni su ChatGpt tendono ad avere una delle forme seguenti. Uno, guarda che belle cose riesce a fare, come scrive bene, meglio dei miei studenti, quasi meglio di me. Due, guarda che cose strane che fa: che ridere. (Se devo citare un esempio impareggiabile, Achille Varzi ha chiesto di generare il più breve pangramma dell’inglese, e la macchina produce: The quick brown fox jumps over the lazy dog, che contiene tutte le 26 lettere dell’alfabeto inglese. A questo punto Varzi scrive che sicuramente «A quick brown fox jumps over the lazy dog» è più breve, al che la macchina ammette e ringrazia di cuore. Il subdolo Varzi ripropone la domanda iniziale, e la macchina, ignorando la conversazione, ripete la risposta iniziale. Che ridere! Non resisto, un altro esempio: chiedendogli di generare la mia biografia scientifica, mi attribuisce articoli che non sono non ho mai scritto, ma che non esistono proprio. Che ridere!)
Basandosi su Uno e Due, che non sono proprio conclusivi, la discussione si sposta inevitabilmente su Tre, ovvero sulle belle cose che ChatGpt potrebbe comunque fare, per esempio nel contesto dell’istruzione, dell’aiuto alla creatività, della redazione di riassunti scientifici. E a questo punto l’inevitabile inferenza normativa scatta e conclude, Quattro, che faremmo meglio ad adattarci il più presto possibile, a insegnare ad «usarlo per non esserne usati», a metterlo nei curricula scolastici. Altrimenti, Cinque, persone senza scrupoli potrebbero pensare di sostituire insegnanti, giornalisti, ricercatori. (Almeno dieci colleghi mi hanno scritto che stanno progettando di scrivere libri interi con ChatGpt e di rivelare il misfatto solo dopo la pubblicazione – che grande senso di responsabilità e di considerazione per il tempo e l’intelligenza altrui.)
La parabola sarebbe fin troppo nota, e l’abbiamo vista ripetersi con sempre rinnovata e crescente enfasi negli ultimi anni, dai mooc (chi se ne ricorda? avrebbero sostituito gli insegnanti universitari) ai manuali interattivi alle app educative al tablet in classe alle Lim, al conto wsapp per gli studenti, alle piattaforme educative private, per non parlare del coding reso obsoleto negli ultimi mesi, ogni volta spinti da valanghe di investimenti pubblici e quasi mai accompagnati da studi longitudinali sull’efficacia; per non parlare di progetti ancora più slanciati come i veicoli automatici, le criptomonete, il transumanismo, e via dicendo: basterebbe quindi un po’ di pazienza per vedere il ciclo sgonfiarsi, e accettare qualche inevitabile strascico come i soldi persi dalle vittime degli inventori di criptomonete, o quelli buttati dalla finestra in investimenti pubblici affrettati.
Per una volta mi permetto però di suggerire che questa è la volta buona, nel senso che se non ci si mette un po’ di traverso (a rischio di essere considerati dei luddisti, dei nemici dell’innovazione) si fa un vero e proprio salto nel vuoto. Non perché ChatGpt conquisterà il mondo, ma perché il suo potere di convincimento è tale che troppi decision makers penseranno che sia una buona cosa lasciarglielo conquistare. Qui arriva l’argomento Sei, per smorzare l’inquietudine: se l’AI crea problemi, sviluppiamo una tecnologia che ne limiti gli effetti indesiderati. I tuoi studenti usano l’AI per scrivere i loro compiti? Svelto, paga (con fondi pubblici) una società che ha sviluppato un programma per snidarli! (Ci sono troppe armi in giro, comprati un buon giubbetto antiproiettile.)
Per chi diffida dell’argomento Sei, si può osservare che seppur non abbiamo nessuna visibilità sull’evoluzione delle pratiche individuali, sappiamo alcune cose: le nostre giornate e vite sono brevi, le società sono complesse e complessi i problemi; la tentazione di semplificarci le decisioni è irresistibile. L’AI conversazionale appare allora come un modo di convincerci dell’efficacia dell’AI, e una volta accettata la sua presenza o addirittura convivenza con il quotidiano, non sarà così difficile accettare la sua presenza laddove non sappiamo minimamente che cosa possa o non possa fare.
Le vie d’uscita, per chi si vuol mettere di traverso, sono almeno tre. La prima è la moratoria personale: è quello che faccio io – dopo un periodo di studio, ho smesso di giocare con ChatGpt. La seconda è l’uso di divieti: SciencesPo, che non è proprio l’ultima delle istituzioni accademiche, ha proibito l’uso di ChatGpt agli studenti per redigere i loro compiti. La terza è lo sviluppo di alternative low tech, che hanno ancora grandi potenzialità. Anche perché, pensateci, se si vogliono coltivare le competenze del futuro, sarà meglio che si insegni a scrivere bene a mano, e a presentare un orale senza appunti. Il problema per i vostri studenti e figli non sarà di saper distinguere le produzioni dell’AI dalle produzioni umane, ma di dimostrare che loro stessi riescono a vivere senza l’assistenza dellintelligenza artificiale: che sono in grado di fare qualcosa come agenti autonomi.