Corriere della Sera, 15 luglio 2023
Intervista a Placido Domingo
Solo le stelle più luminose vuole invitare il direttore artistico Antonio Marzullo, che sogna una Turandot nella Reggia. E il gran finale dell’ottava edizione di «Un’estate da re» è rischiarato da una delle voci più amate e applaudite dell’ultimo secolo, nonché interprete mito del principe Calaf (e di Otello, di Caravadossi e decine di altri eroi della lirica), Placido Domingo.
Un artista che ha raggiunto platee planetarie, tanto da essere inserito tra le stelle della Hollywood Walk of Fame, anche con i Tre Tenori (assieme a Luciano Pavarotti e José Carreras) e le indimenticabili esibizioni alle Terme di Caracalla: «I concerti all’aperto, talvolta in luoghi che non sono abitualmente dedicati alla musica, sono appuntamenti fondamentali per il pubblico e per noi cantanti» sottolinea infatti. «E in Italia c’è un trionfo di festival estivi: Arena di Verona, Macerata, Caracalla, Caserta, Taormina, Torre del Lago…». Alla Reggia ha già vissuto una delle sue «estati da re», per questo attende con trepidazione il ritorno a Caserta: «Ho un ricordo molto toccante perché sono ripartito proprio da quel concerto alla Reggia. Si, perché tra marzo e aprile del 2020 avevo vissuto un periodo veramente buio sulla mia pelle, a causa del Covid che aveva stravolto il mondo della musica e dello spettacolo come purtroppo quella dell’intera umanità, lasciando letteralmente sospese le nostre vite per svariati mesi» confessa il cantante (prima tenore e poi baritono) e direttore madrileno.
«Non sapevo se sarei ancora stato in grado di tornare sul palcoscenico, invece da allora non mi son più fermato e rieccomi qui ancora, con i miei ottantadue anni. Mi sento tanto privilegiato e felice della vita. E a fine giugno sono tornato con grande gioia a ricevere il Premio Artis Suavitas e a visitare gli Scavi di Pompei. Ho avuto un’accoglienza bellissima che mi ha emozionato; non posso esprimere a parole la sensazione incredibile di camminare tra gli scavi. Quando penso all’Italia e agli italiani, non posso non invidiarvi: avete un tale concentrato di bellezza tra arte, paesaggio e… cucina!».
Ad agosto si dividerà tra canto e direzione, guidando altre grandi voci della lirica e l’Orchestra Filarmonica «Giuseppe Verdi» di Salerno in alcune delle pagine più popolari e amate del grande repertorio operistico. Canterà non da tenore, ma da baritono: «Ho vissuto questo passaggio in modo molto naturale. Il tempo passa, la voce e il corpo cambiano e l’esigenza di rimanere credibile sul palcoscenico nei ruoli che interpretavo è stata decisiva. La figura del padre, specialmente nelle opere di Verdi, la sentivo sempre più adatta a me e tra l’altro i ruoli baritonali sono di un fascino e di una profondità che non fanno rimpiangere quelli di tenore… Basta pensare alle possibilità interpretative di un ruolo come Macbeth, che per me è stato importantissimo affrontare dopo tante recite di Otello. E quando cantavo Gabriele Adorno, il tenore di Simon Boccanegra, sognavo di interpretare il Doge… L’ho detto al Maestro Barenboim e così lo abbiamo fatto insieme a Berlino nel 2009: doveva essere solo quella volta e poi sarei tornato al mio solito repertorio tenorile… ma così non è stato! Mi ha chiesto di farlo alla Scala e poi sono arrivati altri teatri e altri ruoli come baritono…».
«Da lì è iniziata questa che ormai possiamo dire è un po’ la mia seconda carriera, anche se la mia voce è sempre quella, più matura con gli anni, ma io canto sempre con la mia voce che è quella di un tenore». A questa seconda carriera ne sta percorrendo una terza, sul podio: «Quando dirigo penso sia utile conoscere le difficoltà che il cantante ha in certi passaggi, per sostenerlo. Ma avevo cominciato, giovanissimo, come pianista! Poi mia madre, interprete di Zarzuela, sentendomi cantare un giorno, quando avevo 15 anni, si è commossa e ha scoperto che avevo la voce».