La Stampa, 15 luglio 2023
Giudizio sospeso
Un magnifico Massimo Adinolfi ha scritto dell’impossibilità per Huw Edwards della via di fuga da sé stesso a mezzobusto, l’immagine di sé davanti al mondo. La sua esistenza era contenuta nell’inquadratura, la giacca e la cravatta, l’impeccabilità dell’autorevolissimo giornalista dell’autorevolissima Bbc. Il massimo del rigore moltiplicato per il massimo del rigore, e adesso sui giornali si trasecola a saperlo in casa di cura dopo lo scandalo dei denari con cui pagava le prestazioni di un minorenne. Ma per fortuna poche pagine più in là c’erano gli articoli in morte di Milan Kundera a restituire tutto al normalissimo sprofondo umano – che bellezza Francesco Piccolo e Alessandro Piperno, su due testate diverse, a usare le stesse parole per indicare il disprezzo di Kundera per il ricatto morale dei puritani. Qualcuno, sempre a proposito di Kundera, ha ricordato la notissima frase sul romanzo che sospende il giudizio morale per contrapporsi alla smania generale di giudicare tutto e tutti prima di e senza aver capito. Edwards se la vedrà con quella indispensabile pratica della burocrazia che è la giustizia, ma anche Kundera era stato accusato di aver consegnato un compagno alla polizia, da ventenne. Probabilmente era una calunnia, ma a me oggi importa poco: la linea che separa il bene dal male corre lungo il nostro cuore, scrisse Aleksàndr Solženicyn, e pochi lo hanno capito e raccontato bene quanto Kundera. Non soltanto nei romanzi, sempre il giudizio andrebbe sospeso per essere partecipi di un destino comune: soltanto i computer – e questa è di Isaac Asimov – sono perfettamente onesti, e dunque disumani.