il Fatto Quotidiano, 16 luglio 2023
Intervista ai Pinguini tattici nucleari
Riccardo Zanotti, quanta gente c’era al primo concerto dei Pinguini Tattici Nucleari?
Quindici amici. Eravamo a Villa Di Serio, comunità montana della bergamasca.
E…
Io non cantavo, all’epoca ero il batterista. Non avevamo studiato la scaletta, ed eravamo così scarsi che proponemmo al nostro gentile pubblico, fatto di musicisti della zona, di alternarci sul palco.
Così è facile.
Un saliscendi continuo. Loro suonavamo e noi sotto a pogare (traduzione di “pogare”: ballare con spintoni). A pensarci, quella è rimasta la cifra di noi Pinguini. Non entriamo in scena dicendo che siamo grossi, importanti e con “numeri a sei zeri”. Vogliamo comunicare a chi ci sceglie che se ce l’abbiamo fatta a perseguire il nostro sogno, tutti possono riuscirci.
Inclusivi.
In questo tour degli stadi abbiamo con noi un tatuatore con lo stencil. A San Siro una ragazza è venuta su e si è fatta disegnare su un braccio la data e Hold on, titolo dal nostro album Fake News. Un’altra ha cantato con me Ridere nel linguaggio dei segni.
(Riccado Zanotti è il cantante dei Pinguini Tattici Nucleari, definirlo il leader sarebbe come prenderlo a schiaffi “per carità, siamo una band dove ognuno è protagonista”. Loro in appena sette anni hanno verticalizzato il concetto di successo: sono passati dai live quasi amatoriali alla tournée negli stadi, con tutti sold out).
Siete a metà del giro. Ieri Firenze, mercoledì ci sarà Torino, poi il doppio Olimpico.
Siamo nani sulle spalle dei giganti, come dicevano nel Duecento. Vasco, Liga, i Coldplay… Un’esperienza totalizzante. Prima muori dalla paura, poi non vorresti mai che finisse. Quell’adrenalina è come prendere in due ore tutte le droghe del mondo.
Tutte?
(Ride). Non ne ho mai prese! Però se sbirciate nel camerino qualche sostanza sospetta la trovate.
Confessi.
Zenzero e pastiglie di borocillina, miele. Il mal di gola, soprattutto d’estate, è l’incubo assoluto. Si azzarda la sciarpa.
Una triste farmacia.
Dopo il concerto ci spariamo un gin lemon.
Audaci.
E non può mancare la partita alla PlayStation. Ti porta in un altro mondo.
Qual è il game?
Calcio, ovvio.
È stato convocato nella nazionale cantanti?
Ho provato, ma sono troppo goffo, ho rinunciato. Non sono all’altezza del mio mito.
Che sarebbe?
Zanetti, il capitano della mia Inter. Vorrei essere come lui: spirito di sacrificio, dedizione e fedeltà alla squadra. Per essere qualcuno a cui affidarsi senza necessariamente segnare. Devi essere solido.
Una vita da mediano.
E da libero, come uomo.
Christian De Sica sostiene: “Il vantaggio della fama è trovare sempre posto al ristorante”.
Il vantaggio della fama è poter dire no quando occorre. La fama non si misura in unità fisiche, come incassi, vendite e soldi in banca. Devi cercare un tuo equilibrio.
Si vede sul palco a settant’anni come Vasco?
Oggi come oggi firmerei con il sangue. La vita migliore che potrei desiderare. Ma se dovessimo tornare nei club o occuparci di altro, andrebbe bene lo stesso. Il problema maggiore è in famiglia: quando si cena coi parenti ti esaltano per gli stadi, ma ignorano i successi degli altri. E tu devi riportare tutto in un altro contesto e ribadire: “Sì, ma parliamo anche di lui che si è appena laureato o di lei che ha avuto un figlio”.
La gente di Bergamo è seria, lavoratrice.
Mio padre, come il nonno, costruiva case, poi ha avuto un rovescio e come agli inizi è tornato a fare il muratore. Mi voleva architetto o ingegnere. Per parlare con lui scrissi una canzone, Scatole.
Per dirgli che non avrebbe tirato su muri.
Per dirgli che eravamo più simili di quanto non credesse: siamo entrambi muratori. Lui con l’edilizia, io con la musica, ma l’obiettivo è lo stesso: far star bene le persone; (pausa) era una canzone di pace, un modo per spiegargli che questo poteva essere il mio lavoro.
C’è riuscito…
Il contrasto ci ha portati a ragionare su rischi e possibili errori. Non è semplice educare un figlio che si ribella, ma neanche educare un genitore che, per ruolo, deve frenarti.
Ribadiamo: c’è riuscito.
Mi comprò la prima chitarra.
Il suo primo brano è dedicato al cane dei vicini.
Black, di cui cercavo disperatamente l’affetto. Il cane dei vicini è sempre il più simpatico. Ma un cancello ci divideva. Allora me ne comprarono uno: (sorride) il brano è un giro di blues alla Zucchero, di cui sono stato sempre un grande fan.
Potreste inciderla insieme
Lui è uno dei giganti, dovrei avvicinarlo con estrema umiltà (ride di nuovo). Se il feat è spontaneo ben venga. Se è calcolato si perde la magia. (Ci pensa) Non credo alla feat-o-crazia, alle collaborazioni tra gli artisti soprattutto della mia generazione. Ne abbiamo fatta una con Ernia a Verona, ed è stata magnifica. Però quando la strategia è economica e non artistica, no grazie. Per questo negli stadi non abbiamo ospiti, bastiamo noi. Crediamo nella gavetta, nello step by step. Non mi ritrovo nell’etica calvinista, anzi weberiana.
Citazioni da intellettuale.
No, da paraculo: rubo parole e concetti migliori delle mie.
Da ragazzo ha mai guidato a fari spenti nella notte?
Per carità. Sempre stato un sedentario. In cameretta con il joypad o a guardare film. A leggere le altre versioni dei fatti storici, che non trovavo nei libri di testo a scuola. La sociologia. I poeti. Ecco, nella mia istruzione tendevo a deviare dalla norma. Detestavo Carducci e approfondivo Pasolini.
Un secchione rock. Un modello.
Mai stato un modello di alcun tipo. Dante sosteneva che i sapienti mangiavano le briciole sopra il tavolo, il popolo invece sotto. Ci sono i maitre-a-penser, l’élite, e le persone comuni che devono tentare di capirli.
Quindi in chi si identifica?
In Mike Wazowski.
Chi?
La creatura pelosa e ridicola, diciamo pure sovrappeso, di Monsters & Co, il cartone animato: in teoria dovrebbe incutere timore, invece i bambini ridono di lui.
Un mostro sfigato.
Da ragazzino mi sentivo Mike.
Oltre a lui?
Per compensare aggiungo il Diavolo ne Il maestro e Margherita (romanzo di Bulgakov); personaggio fighissimo, ma non perché satanico. Mi piace sia beffardo e onnisciente.
Bisogna tentare di sapere, per non farsi fregare.
Appena ti distrai ti dipingono come non sei, soprattutto nell’era dei social senza controllo. Una volta una ragazza pubblicò una storia completamente inventata.
Quale?
Festival di Treviso, io vestito completamente di bianco. Eravamo vicino al bancone dei gelati. Fin qui tutto vero. Lei prosegue sostenendo di avermi chiesto un cornetto, scambiandomi per il gestore. Io avrei detto: “Come, non mi riconosci? Io sono il cantante dei Pinguini!”.
Pedaggio inevitabile della notorietà.
Soffro le maldicenze. Ivan Graziani cantava: Maledette malelingue.
Avete inciso un album per elaborare le menzogne altrui.
Ero in Irlanda con una ragazza, sotto un cielo che ogni quindici minuti cambia colore. Prende a piovere e mi arriva il messaggio da uno zio che mi avvisa del titolo di un sito non popolarissimo.
Che titolo?
Parlavano di una mia uscita dal gruppo, destinato allo scioglimento. Una balla. Cercavo di calmarmi pensando che in pochi avrebbero dato credito a quel sibilo nel vento. Invece lo ripresero anche grandi testate. Ho capito che il mondo non è come lo vediamo, ma come ce lo raccontano. Nacque così Fake News. È il gigantesco pericolo di quest’epoca, la post-verità, la contro-fattualità.
Lodo Guenzi al Fatto: “Non andrò mai più a Sanremo”. E voi?
Avrà avuto i suoi buoni motivi, ma non si può essere così tranchant. Massima stima per Amadeus, Ringo Starr è stato un passaggio decisivo nel nostro percorso. Tuttavia è presto per sapere, anche se stiamo scrivendo nuove canzoni nelle stanze d’albergo. Sanremo è un meraviglioso frullatore: mesi di lavoro per proporre un pezzo, e interviste a raffica; (cambia tono e sorride) il Festival è come un’eiaculazione precoce.
Tipo: già fatto?
Con un mucchio di preliminari. Ma resta una figata incredibile. Al netto del terrore di stonare e cadere in gaffe.
Ha mai cantato sbronzo?
Sono praticamente astemio, mi bastano due bicchierini…
Qui scatta il “però”.
Mi è capitato un paio di volte, avevo bevicchiato per cautelare la gola in fiamme. Alla fine pensavo di aver fatto schifo, mi dissero che non era mai andata così bene. Da “zinzino” carburo meglio, pare.
Si riguarda, dopo gli show?
Sbircio le storie dei fan su Instagram. Ma il giorno dopo riesaminiamo l’intero concerto. Non la mia performance, che puntualmente trovo migliorabile. Non sono, come direbbe Bersani, “il cantante che ascolta solo la sua musica”. Ci interessa come suona la band. Perché noi siamo una band. I solisti, i frontman, i protagonisti con i musicisti alle spalle sono destinati a tramontare.
Però lei è anche una “penna finissima in linea con il presente”, ha dichiarato la Pausini.
(Resta quasi stupito) Scrivere per Laura è stato fantastico. Due mondi così diversi. Pausini è un’imprenditrice mondiale, una macchina da guerra perfetta, con un fandom che la segue ovunque. Io ero andato da lei da solo, con la mia macchina, un caffè al bar e via in studio. Lei ha uno staff perfettamente oliato e organizzato. E una vocalità galattica: prende note che io non vedrei neppure col binocolo.
Chi è lei?
Un’operazione aritmetica. Un 6-1 e un 1+5; uno che fa parte di una band e la band fa parte di me. Persone che stanno cercando di potersi permettere di dire dei no nella vita. Per vivere tranquilli nella nostra amata Bergamo suonando la musica che ci piace.