il Fatto Quotidiano, 16 luglio 2023
Con l caso La Russa la prudenza non è mai troppa
L’impressione è che la Procura di Milano stia agendo “con la massima prudenza” anche per non dare adito a polemiche e pretesti destinati ad alimentari nuovi scontri: ora che sono chiari i contenuti del decreto di sequestro dello smartphone di Leonardo La Russa, poi si fa largo tra i parlamentari di centrodestra l’idea (o forse solo la speranza) che sia “remota” l’ipotesi che la Giunta per le immunità di Palazzo Madama possa mai essere chiamata a valutare una richiesta di autorizzazione di corrispondenza – sostanzialmente messaggi whatsapp – utile all’indagine che riguarda il figlio del presidente del Senato. E al momento è pure considerata solo “teorica” l’eventualità che i magistrati, dopo aver acquisito nuovi elementi con cui motivare la richiesta, possano sollecitarla a pronunciarsi sul sequestro (ad oggi escluso) della sim del telefonino in uso al ragazzo, ma intestata allo studio legale che porta il cognome del presidente del Senato.
Entrambe ipotesi che al solo evocarle hanno comunque mandato in fibrillazione gli inquilini di Palazzo: i più navigati, per stare tranquilli, stanno comunque ripassando gli orientamenti giurisprudenziali in materia di sequestri di materiali di indagine ché durante queste attività – per quanto si proceda con i piedi di piombo – è noto che gli investigatori vengano a contatto con dati anche non pertinenti al reato per cui si procede: per quanto infatti il decreto di sequestro abbia escluso tutte le conversazioni con persone coperte da garanzie costituzionali, la paura che l’indagine diventi un incubo politico c’è eccome. E non solo tra le file di Fdi di cui Ignazio La Russa è maggiorente e fondatore.
Ad alimentare l’inquietudine il fatto che manchino precedenti di richieste di autorizzazioni di contenuto in tutto o in parte sovrapponibile approdate in questa e nelle precedenti legislature di fronte alla Giunte del Senato e della Camera. Il solo fatto però che più di qualcuno stia compulsando i casi che presentino una qualche analogia con quello di La Russa jr, dà la misura dello stato di pre-allerta. “Con i sequestri che riguardano familiari o comunque persone della cerchia stretta dei parlamentari è come stare su un campo minato” sussurra al Fatto un autorevole esponente del Pd che preferisce l’anonimato. Anche perché la questione è delicatissima per molti aspetti anche personali (non è un mistero che Ignazio La Russa sia molto amato anche dagli avversari). Eppoi c’è pure che a presiedere la Giunta per le autorizzazioni del Senato è proprio un dem, ossia Dario Franceschini: nel caso in cui arrivasse mai una richiesta di autorizzazione da Milano avrebbe il suo bel daffare a impostare la faccenda.
Ma nell’organismo in cui sono rappresentate tutte le opposizioni, per quanto in posizione minoritaria, la grana più che altro riguarderebbe innanzitutto la maggioranza di centrodestra: direbbe sì o no ai magistrati? Ma soprattutto: in che posizione sarebbe La Russa padre che del Senato è presidente? Domande, rovelli, crucci politici prima che tecnico giuridici. Di cui pure qualcuno si diletta: vengono passati al setaccio i casi della richiesta di autorizzazione relativa ai dispositivi del collaboratore personale dell’ex sottosegretario leghista Armando Siri e pure il caso sollevato da Matteo Renzi poi sfociato in un conflitto di attribuzione del Senato contro i magistrati di Firenze. Infine quello di Francesco Zicchieri che aveva chiesto di superare le garanzie costituzionali perché i magistrati potessero guardare nel suo cellulare: ma in quel caso si trattava di minacce telefoniche di cui il deputato si riteneva vittima.