Avvenire, 16 luglio 2023
Torna la tribuna politica
Dal 19 al 21 luglio e poi di nuovo dal 24 al 28 luglio Virgilio Sieni organizza all’isolotto a Firenze una tribuna politica: invita i cittadini a salire su un podio e a fare dei comizi politici “muti” con i soli gesti. È una provocazione che il coreografo e danzatore lancia in piazza per portare in evidenza i modi e il senso dei gesti della politica e per indurre i cittadini ad appropriarsene e a comprenderne l’ambiguità e il potere. Da dove viene il modo di parlare dei politici nei comizi, in televisione ma anche in Parlamento o al Senato? È una lunga storia, che affonda nell’arte del parlare in pubblico, nella retorica, il cui primo esempio rilevante è il greco Demostene. Questa nasce per sostenere una tesi di fronte a una folla o in un arengo o nell’assemblea cittadina e per essere capaci di convincere gli astanti con le sole arti del discorso e con il potere delle espressioni del corpo. È diversa dalla dialettica perché in questa è previsto un dialogo, una botta e risposta. Nella tribuna politica chi parla lo fa a un pubblico muto, o meglio a un pubblico che non interagisce se non come reazione alla retorica di chi parla. Dall’arte del convincere discende direttamente l’omelia, il sermone, il discorso che mira alla conversione e al pentimento dei fedeli in ascolto. Si va dai sermoni di Agostino di Ippona ai preacher delle chiese nere d’America. Questi ultimi hanno mantenuto tutto il sistema di movimenti, gesti, danza che mirano a coinvolgere il pubblico, a trascinarlo, a commuoverlo e a farlo muovere al proprio ritmo. Parallelamente all’arte del convincere un pubblico si sviluppa l’argomentatio, che prevede un dialogo alternato tra due individui che si danno il turno nel tentare di convincere l’altro delle proprie ragioni. Nelle scuole del lamaismo tibetano questa dialettica viene scandita con degli schiocchi di mano, con delle battute del palmo che il braccio leva come se fosse un ciak che urge l’altro a prendere la parola per controbattere. L’espressione fisica, l’uso delle braccia e di tutto il corpo ricorda un’arte marziale e in un certo senso ha a che fare con un agonismo della mente e del discorso. È il corpo nel suo insieme che deve fare prevalere i propri argomenti. Saranno i gesuiti in Occidente a elaborare con i propri esercizi spirituali le tecniche più efficaci per convincere, convertire, commuovere e piegare a proprio vantaggio gli argomenti dell’avversario. Questo tipo di pratica si sviluppa in Occidente nelle discipline che hanno come sede i tribunali, nell’avvocatura come nella magistratura. Questo insieme produce quel tipo di politica a cui oggi ci siamo abituati come se fosse normale. L’evoluzione del mondo della politica fa sì che da un discorso sul podio si sia passati ai comizi dai balconi o alle folle di uno stadio per transitare poi attraverso i sistemi dei media nella televisione e oggi nei social. Questi passaggi non hanno intaccato la natura agonistica della tribuna politica e le sue tecniche del corpo. La sfera del politico fa parte di quelle tecniche del corpo di cui parla Marcel Mauss, pratiche che vengono introiettare in un modo tanto profondo da diventare quasi automatiche. Il politico pratica un’arte del convincere che richiede un lungo training e che deve portare il soggetto a dimenticare quasi quello che sta facendo. La presenza sempre più forte dei media e dei social ha reso il linguaggio dei gesti e del corpo apparentemente meno importanti. Le nuove classi di politici che si presentano negli anni 2000 si trovano in qualche modo spiazzati dalle innovazioni. Grillo, Salvini, Meloni sono figli di un tipo di retorica che ha bisogno di urlare e di appesantire le parole con la rabbia e con il turpiloquo per essere efficaci. È in qualche modo una forma di balbuzie che dimentica il ruolo della retorica dei gesti, del volto, delle posture e si basa unicamente sulla voce. Questa svolta nella tribuna politica rivela una non padronanza delle tecniche e la sfiducia nel fondo del proprio potere di convinzione. E dimentica che i gesti hanno un peso e un valore ancora molto grande, soprattutto perché vengono spostati in una dimensione dell’inconscio, sono gesti “automatici” “reattivi”, non parte di una retorica appresa. Questa apparente spontaneità provoca nello spettatore e nel pubblico delle reazioni che sono tutte compresse nella balbuzie – a sua volta quella del pubblico risponde a quella del politico – che ha come unica possibilità o l’urlo o l’applauso. Le folle che vanno allo stadio somigliano alle folle che circondano i politici, sono sostenitori già convinti, una claque. Lo spettacolo della politica deve imporsi senza convincere, deve essere un tipo di antagonismo che prevede non il portare il pubblico dalla propria parte ma sconfiggere l’avversario e il pubblico dell’avversario. In questo nuovo contesto le retoriche diventano più rigide e semplificate: bisogna adoperare l’indignazione, lo sdegno, l’accusa, il vittimismo, la collera e l’ira. Saltano completamente le sfumature e le mezze misure. I gesti si fanno violenti, secanti, battono, maltrattano, respingono, minacciano. Il pubblico impara da questo tipo di atmosfera il nuovo nocciolo della politica, l’arengo dei forti che si alternano nel teatrino nei media e dei social e inventa figure nuove che li imitano, gli influencer, i troll, gli imbonitori, i venditori di se stessi.