La Stampa, 14 luglio 2023
La rinuncia alle cure
«Entro quest’anno non ci sarà più nessun caso di visite e analisi a 6 mesi, 10 mesi un anno». Era aprile quando il governatore campano, Vincenzo De Luca, dichiarava guerra alle liste di attesa nella sua regione, quelle che fanno rinunciare alle cure un terzo degli assistiti che vi rimangono impigliati e non hanno soldi per bussare del privato. Da lì a poco la regione avrebbe varato il suo piano fatto di tanti soldi ancora versati al privato e incentivi al pubblico per lavorare anche la sera e nei week end. Ma ancora oggi la situazione in Campania resta drammatica. «Per tac e risonanze l’attesa media è di 8-9 mesi, ma per una semplice ecografia si va anche oltre un anno, pur con forti differenze territoriali, con tempi nettamente inferiori a Napoli», recita il calendario della sanità negata stilato da Lorenzo Latella, responsabile regionale di Cittadinanzattiva, che ha condotto per noi la rilevazione. Per le visite «quella ginecologica richiede non meno di 3 mesi e mezzo, quella cardiologica 4, ma con tempi inferiori ad Avellino dove le liste sono meglio organizzate». Riguardo i ricoveri invece occorre distinguere. Quelli per i casi acuti, che passano prima per il Pronto soccorso «si stanno regolarizzando, perché sono stati messi in piedi percorsi di presa in carico che funzionano, così al Cardarelli di Napoli ora sono meno frequenti le lettighe parcheggiate nei corridoi o nelle astanterie. Ma il problema – spiega Latella – permane per i ricoveri programmati, specie quelli saltati durante la pandemia, che richiedono due anni di attesa». Tempi improponibili, che trovano riscontro nella classifica delle prestazioni recuperate dopo il black out pandemico.
Perché se a livello nazionale si è smaltito il 65% dell’arretrato, con la Toscana al 99% e l’Emilia-Romagna al 91%, la Campania è ultima con un miserevole 10%. Così le liste d’attesa restano infinite «e tra coloro che si rivolgono a noi denunciando appuntamenti fissati a mesi se non anni di distanza, il 30% ammette alla fine di aver rinunciato del tutto alle cure non avendo disponibilità economiche per potersi rivolgere al privato». E un’altra classifica viene in soccorso alle parole del responsabile campano dell’associazione, quella di chi rinuncia alle prestazioni sanitarie per ragioni economiche: il 7% (il doppio della media nazionale) ovvero 406mila cittadini vittime delle diseguaglianze territoriali sempre più inaccettabili della nostra sanità.
Ma dietro numeri e percentuali ci sono poi i drammi personali. «Nonostante la delibera regionale per la presa in carico del paziente oncologico – denuncia Teresa Tartaglione, che ha promosso una petizione sulle liste di attesa – per fare gli esami di controllo dopo chemio e radioterapia sono stata costretta a spendere dal privato 250 euro per un accertamento che il pubblico mi offriva con tempi di attesa tra 2 e 8 mesi». Ma c’è chi queste spese non può permettersele, come Ida. «Vivo con un marito invalido e mio figlio minorenne. Durante una visita di controllo il nostro medico di famiglia mi prescrive una visita urgente e la Pet per sospetto tumore alla mammella. Chiamo subito il Cup che mi offre come prima data il 12 dicembre. Ho dovuto accettare perché non sono nelle condizioni di pagare un privato, ma così sto di fatto rinunciando alle cure e sono angosciata pensando a cosa ne sarà di mio marito e mio figlio se dovesse accadermi qualcosa».
«Le urgenze vengono sempre rispettate» aveva voluto mettere in chiaro qualche tempo fa De Luca. Ma le testimonianze sembrano dargli torto. Come quelle raccolte da Cittadinanzattiva, con una paziente che a fronte di una ricetta contrassegnata con la lettera U di urgente, ossia da espletare entro 72 ore per visita cardiologica ed ecodoppler, si è visto proporre come prima data utile novembre. O addirittura aprile 2024 nel caso di una malata oncologica che doveva sottoporsi a una tac di controllo per un tumore alla mammella.
«La situazione non migliora perché da gennaio 2022 sono stati stabiliti tetti di spesa per struttura divisi in dodicesimi. Così se prima le agende di prenotazione si bloccavano negli ultimi 2-3 mesi dell’anno ora questo si verifica alla metà di ogni mese», spiega ancora Latella, secondo il quale larga parte delle prestazioni sono ancora oggi erogate dal privato convenzionato. Sul quale ricadrà un’altra pioggia di denaro con il Piano anti liste d’attesa varato da poco dalla regione. Che dovrà riparare al flop dei fondi extra, 500 milioni stanziati dal governo per ridurre i tempi. Alla Campania ne erano stai assegnati 90, ma ne sono stati utilizzati meno della metà. Soldi che ora andranno in un calderone composto da altri 22 milioni non impiegati negli anni 2021 e 2022, più altri 15 milioni non utilizzati nel 2020, oltre ad altre economie che serviranno a integrare i budget dei privati accreditati, sia per la specialistica ambulatoriale che per l’ospedaliera. Un bel gruzzolo con il quale De Luca vuole incentivare visite, accertamenti e ricoveri da effettuare extraorario, di pomeriggio o nei fine settimana puntando così ad accorciare i tempi. Anche a costo di tirare il freno a mano dell’attività privata dei medici dentro gli ospedali pubblici, quando questa sovrasta quella offerta gratis ai cittadini dal servizio pubblico. Sperando che prima o poi gratis faccia anche rima con tempestività.