Corriere della Sera, 14 luglio 2023
Intervista a Marco Morandi
«E fattela una tinta come fa tuo padre, sembri tu il padre!». Oppure: «I genitori entrambi belli... ma questo figlio?!». Si potrebbe andare avanti a lungo, ma ha più senso mettere in evidenza il garbo con il quale Marco Morandi, secondogenito del Gianni Nazionale e di Laura Efrikian, ha replicato alle critiche che gli sono state mosse su Instagram, al limite del bullismo.
Marco, allora: perché non se li tinge questi capelli?
«Mah, a me avevano detto che il brizzolato funzionava. Scherzi a parte, sono sulla soglia dei 50 anni, come devo sembrare? Poi ci sono miracoli e altre cose, ognuno sceglie. Io voglio apparire nature».
C’è da dire che suo padre non aiuta. Ha 78 anni e sembra un ragazzino.
«E se non bastasse lui, c’è pure mia madre. Ma io sono stato il primo a dirmi davanti allo specchio: “Mannaggia, ora sembro più vecchio di papà”. Sul serio: è stato il primo pensiero».
La figura di suo padre sarà sempre stata ingombrante.
«Avere un cognome come Morandi non è stata un’agevolazione. Ho dovuto fare un percorso personale. Immagino succeda a tutti quelli nella mia condizione, perché il continuo confronto è inevitabile, c’è un pregiudizio costante. È capitato anche a me quando ho incontrato il figlio di un artista: lì ho capito tante cose, è stato utile».
Ha mai pensato di cambiare cognome?
«Forse solo per un attimo. Poi ho capito che non sarebbe servito a nulla: il vero lavoro dovevo farlo su di me. L’analisi mi ha aiutato molto».
Quali sono le etichette che le danno più fastidio?
«Quelle di chi me le affibbia senza conoscere il mio lavoro. Sono pronto alle critiche sul valore di quello che faccio, ma non perché sono un raccomandato. Se lo fossi stato mi avreste trovato più spesso in qualche salotto televisivo. Ma quello della tv non è un mondo che mi fa impazzire. Quando mi è stata paventata la possibilità di partecipare a un reality, ho pensato che sarebbe stato più interessante per me andare in Patagonia da solo».
Da quando ha la percezione di essere figlio di un monumento?
«Fin da piccolo. A scuola i miei compagni facevano a gara per invitarmi a pranzo o a cena o a dormire da loro e io finivo con il passare il tempo a rispondere alle domande dei genitori. Niente di grave, eh: tutto materiale per gli analisti. Mi dicevano: sembri tuo padre uscito dalla lavatrice».
E con le ragazze?
«Con loro ho temuto ancor più che potessero avvicinarmi per mio padre e non per me».
Poi ha sposato Sabrina Laganà, madre dei vostri figli.
«La relazione con Sabrina è cominciata nel ‘99 e ci siamo sposati nel 2012, quando erano già nati Jacopo, Leonardo e Tommaso. Ci siamo appena lasciati, siamo nel mezzo di una separazione molto civile, rispettosa e serena. Abbiamo costruito tanto insieme».
Lei che padre è stato?
Natura e cultura
Durante le nostre passeggiate nei boschi mi faceva leggere ad alta voce Dostoevskij
«Credo di aver insegnato ai miei figli i valori che mi hanno inculcato i miei genitori: il rispetto, l’umiltà, il conquistarsi le cose. Ecco, spero di averlo fatto in maniera più... morbida. E poi ero molto presente. Nessuno è colpevole di niente: è un dato di fatto».
Cosa le è mancato di più?
«Certe cose erano normali, come non poter mangiare un gelato insieme al Colosseo. Dovevamo sempre comprarlo e poi mangiarlo a casa».
Suo padre era severo?
«Moltissimo. Quando alle medie falsificai la sua firma per una nota e lui lo scoprì, mi arrivarono dei bei sculaccioni. Con quelle manone, può immaginare...».
Un’immagine con lui?
«Un’estate a Monghidoro. Durante le nostre passeggiate nel bosco, mi fece leggere a voce alta L’idiota di Dostoevskij. Sono felice di aver condiviso quella lettura e le riflessioni a voce alta con lui».
Si sente un po’ come l’ex Principe Carlo?
«O come Daniele De Rossi per noi romanisti! In effetti posso capire chi a un certo punto qualcuno dirà: “Un altro Morandi? Basta!”. Scherzando, dico sempre che sarò io a lasciare l’eredità a lui, e non il contrario. Perché camperà più di tutti noi!».
Non tornerà a Sanremo finché ci sarà suo padre: è vero?
«Un po’ sì. Ho partecipato due volte: con i Percentonetto e da solo. Un altro paio mi hanno scartato. Poi un anno avevo la canzone, ma lui lo presentava e ho rinunciato».
Ammetterà che ha scelto lei di stare più in ombra.
«Forse perché conosco bene i risvolti dell’eccessivo successo».
Ha fatto, e fa, tante cose: musica, cinema, teatro. Per quale suo padre le ha fatto i complimenti più belli?
«Per lo spettacolo su Mia Martini, Chiamatemi Mimì, in cui reinterpreto le sue canzoni. Mi ha detto: sono molto orgoglioso di te, io non sarei stato in grado di farlo».
Pensa che senza suo padre avrebbe avuto più successo?
«Forse avrei avuto più spazio, ma non ho controprova».