Corriere della Sera, 14 luglio 2023
Fontana uccise Maltesi perché l’amava perdutamente
VERONA La «amava perdutamente»: per Davide Fontana «l’idea di perdere i contatti» con Carol Maltesi «si è rivelata insopportabile». L’attrice 26enne era in procinto di lasciare l’appartamento vicino al suo, a Rescaldina, e cercava casa a Verona per stare più vicina al figlioletto di 6 anni: è stato allora che, ricostruiscono i giudici nelle motivazioni della condanna, il bancario-food blogger 44enne «si è reso conto che la giovane e disinibita Carol si era in qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e che lo avesse usato, e ciò ha scatenato l’azione omicida».
Motivazioni che lasciano «sconvolti e increduli» i familiari di Carol secondo cui «queste parole ledono la dignità della vittima». E che sollevano proteste e polemiche.
Nell’agire di Fontana, a giudizio del Tribunale di Busto Arsizio, non vi furono la premeditazione e nemmeno le aggravanti dei motivi futili o abietti e della crudeltà: è per questo che in primo grado è stato condannato a 30 anni e non all’ergastolo (come chiedeva il pm) per aver ucciso a martellate e con una coltellata alla gola l’11 gennaio 2022 la giovane mamma italo-olandese, sezionandone poi il corpo che fu trovato quasi tre mesi dopo, a fine marzo, nel Bresciano, dentro alcuni sacchi dell’immondizia, dopo essere stato tenuto nascosto per settimane in un freezer, bruciato senza riuscirci in un barbecue e infine gettato da un burrone.
Dopo avere tolto la vita all’ex commessa di cui era «perdutamente» innamorato, l’insospettabile vicino di casa con un’atroce messinscena si spacciò per Carol messaggiando con il suo telefonino. Nell’ottica della Corte d’assise presieduta da Giuseppe Fazio (a latere la giudice Rossella Ferrazzi), «a spingere l’imputato non fu la gelosia ma la consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dal senso di crescente frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte».
Frasi che fanno scuotere la testa ai familiari di Carol, che esprimono «sconcerto e incredulità» dichiarandosi «scioccati e francamente sconvolti»: a nome delle parti civili (genitori, figlioletto ed ex compagno veronese della vittima), interviene l’avvocata Annamaria Rago. «Sconvolge il giudizio morale che trasuda dalla sentenza – è il commento della legale veronese —. Con queste motivazioni si è consumata un’evidente violazione della dignità dell’essere umano. Se Carol avesse continuato a svolgere l’attività di commessa, a mio avviso a parità di circostanze e commettendo lo stesso orribile omicidio, con alta probabilità a Fontana sarebbe stato comminato l’ergastolo». Secondo le parti civili, che si assoceranno all’atto d’appello già annunciato dal pm, «riguardo al movente dell’omicidio, la Corte ha operato una visione invertita. Di fatto, i giudici non hanno ritenuto legittima la volontà di Carol di allontanarsi da Fontana e vivere la propria vita secondo i propri desideri, ma al contrario hanno valorizzato la prospettiva di Fontana di sentirsi frustrato per l’imminente abbandono, giustificando per tale via l’insussistenza dei motivi abietti e futili».
Insorgono anche associazioni come Pangea Onlus, che biasimano la scelta di parole come «disinibita», che sottendono un giudizio morale. Critiche anche le senatrici dem Valeria Valente e Cecilia D’Elia e la deputata M5S Stefania Ascari.