il Fatto Quotidiano, 14 luglio 2023
Dopo Vilnius
Dello “s torico” summit della Nato a Vilnius rimane ciò che abbiamo visto e sentito, ciò che non abbiamo visto e ciò che vedremo, a partire da oggi. Abbiamo visto abbracci e baci, foto di gruppo e foto a due, a tre e abbiamo sentito le trionfanti dichiarazioni di unità degli alleati e il sostegno strappalacrime all’Ucraina. Tutto come da copione, compreso il muso lungo di Erdogan, quello spaesato di Biden e quello esultante e persino birichino del Segretario generale Stoltenberg. Non abbiamo visto o sentito nulla delle condizioni imposte da Erdogan alla Svezia in cambio dello scioglimento della riserva sulla sua ammissione, né di quelle imposte a Zelensky perché facesse buon viso a cattivo gioco e nemmeno un accenno all’utilità della guerra o alla sua fine. Le promesse formali della Svezia alla Turchia sono di fatto le prime avvisaglie della perdita di sovranità alla quale tutti i Paesi membri attuali e futuri devono sottostare. La sicurezza interna turca è dominante su quella esterna della Nato e Svezia e Finlandia forse non l’hanno ancora capito. A dispetto dello show di unità la Nato appare ancora divisa (come riporta il Nyt ) proprio sulla questione ucraina ma soprattutto sulla situazione della sicurezza in Europa. “L’ingresso dell’Ucraina nella Nato rafforzerà la sicurezza europea e quella mondiale” come pomposamente dichiarato da alcuni fedeli alleati, è stato smentito. Sulla testa di Zelensky incombe la mannaia della guerra che deve combattere con la certezza di non poterla vincere e il capestro della democratizzazione: un modo sottinteso per dichiarare l’Ucraina un Paese non democratico che viene tollerato finché dura la guerra. Il regime di Kiev è sotto accusa e scrutinio segreto: i simboli nazisti sulle uniformi delle milizie sono scomparsi, ma non quelli sulla pelle e nelle dichiarazioni politiche. La pretesa ucraina di combattere per conto dell ’Occidente ma di non dover ringraziare nessuno è stata frustrata e Zelensky, apparentemente più forte all ’estero, è sensibilmente più debole al proprio interno. Non tanto nei confronti del supporto della popolazione che ancora lo ritiene l’unico in grado di far affluire soldi e armi quanto della compagine di potere che sa benissimo a chi e come devono andare soldi e armi. A Vilnius è stata confermata la posizione del G7 in Giappone del maggio scorso e nessuno ha parlato di ciò che è stato già discusso e approvato a Londra, durante la Conferenza per la Ricostruzione dell’Ucraina (21 e 22 giugno). Al G7 di maggio i “g rand i” della Terra avevano ribadito il sostegno all’Ucraina “per tutto il tempo necessario” lasciando il dubbio se si riferisse alla necessità della vittoria ucraina o della sua distruzione. A Londra il dubbio è stato sciolto: il tempo necessario è quello della distruzione strutturale, economica e politica del Paese e dell’Europa. Con l’abile e non disinteressata regia del premier inglese, a Londra si sono riuniti un migliaio di responsabili dell’e co n o m i a pubblica e privata mondiale, per conto di oltre 400 imprese e 59 nazioni. Come risultato della conferenza quasi 500 imprese globali di 42 Paesi hanno sottoscritto il Patto Imprenditoriale per l’Ucraina rivolto agli investimenti da avviare ancor prima della fine del conflitto. Le corporazioni private e le istituzioni economiche, industriali e finanziarie si sono impegnate per progetti a lungo termine da sviluppare a proprio profitto. Tra questi campeggiano i principali fruitori dei benefici provenienti dalle sanzioni applicate alla Russia sin dall’inizio dei combattimenti: Nokia, Siemens, Sanofi, Philips, Hyundai e Uber. Tra le corporazioni finanziarie spiccano il fondo investimenti BlackRock, comproprietario di 17 mila imprese, Jp Morgan Chase la maggiore banca statunitense e McKinsey, il maggiore istituto di consulenza economica e finanziaria. Ovviamente le istituzioni e i finanziatori statunitensi e britannici sono in prima linea e hanno già premesso che gli investimenti riguarderanno i loro interessi. In particolare la Gran Bretagna si è assegnata il ruolo di garante dei prestiti della Banca mondiale per 4 miliardi di sterline anche tramite le proprie compagnie assicuratrici Aon e Lloyd’s. Gli Usa si sono impegnati per 75 miliardi di dollari in aiuti, e armamenti con il vincolo che la maggior parte dovranno essere forniti da imprese americane. L’Ue investirà 80 miliardi di dollari tra il 2024 e 2027, la maggior parte dei quali come prestito con interessi. La stessa cosa avverrà con il Fondo monetario internazionale che ha già imposto all’Ucraina riforme strutturali nell’ambito del lavoro e dell ’apertura di mercati. Riforme che il presidente Yanukovich rifiutò categoricamente “perché avrebbero penalizzato i lavoratori e le famiglie uc ra i n e”. La massa enorme dei soldi necessari alla cosiddetta ricostruzione non può provenire dai paesi che si sono impegnati se non aumentando il loro debito nazionale ed estero e gli investitori privati anticipano soltanto sulla certezza di un ritorno di profitto che nessuno è in grado di garantire e che comunque graverebbe su tutta l’economia occidentale. La soluzione già assunta è quella di far pagare tutto alla Russia con vari meccanismi più o meno legali. Da parte sua la Russia non ha né la voglia né i mezzi per pagare e non può rinunciare all’uso della forza per consolidare gli eventuali guadagni territoriali. Dal Vertice della Nato, che è un’alleanza essenzialmente militare, sono anche venuti segnali non entusiasmanti per l’Europa e l’Ucraina stessa. La promessa di sostegno militare alla guerra non tiene conto che l’Ucraina non ha soltanto bisogno di armi ma anche di combattenti e di questi la Nato non può parlare, pena l’allargamento del conflitto. La promessa di armi definite illegali da quasi tutti i membri europei della Nato come le “bombe a grappol o” non sarà risolutiva e anzi fornirà l’autorizzazione alla Russia di ritorsione con gli stessi mezzi. Non che ne abbia bisogno, ma è un passo in più verso l’in nalzam ento del livello del conflitto. L’Ucraina dovrebbe usare tali armi contro le forze russe occupanti e quindi contro la popolazione che reclama come propria. Tali bombe meglio conosciute per essere armi a bassa precisione, alto numero di ordigni inesplosi (40%) e lunga permanenza sul terreno sono di fatto dei mezzi di distruzione di massa rivolti essenzialmente alla popolazione civile: durante e dopo la guerra. La condizione così magnanima offerta dalla Nato all’Ucraina per l’ingresso nell’alleanza a “guerra finita” è l’unica garanzia per gli Stati Uniti di non essere coinvolti in una guerra regionale. Ma non lo è per quei Paesi che pur appartenendo alla Nato intendano intervenire separatamente, in maniera più o meno aperta e dichiarata, come Polonia e Gran Bretagna. Per l’Europa, la “vit – t or ia” dell ’Ucraina e il suo ingresso nella Nato senza una sconfitta della Russia e l’assunzione del controllo del suo arsenale convenzionale e nucleare comporterebbero la divisione armata del continente, come già avvenuto, ma con l’aggravante di un conflitto aperto e non risolto. A Vilnius la Nato ha dimostrato di non essere in grado di garantire la sicurezza degli alleati e dell’intera Europa. La cosa che può fare è continuare una guerra politicamente preparata e provocata. I confini della Nato a ridosso della Russia e della Bielorussia significano lo schieramento di armi e truppe in Ucraina con la garanzia di una conflittualità permanente in Europa e sull ’Europa di sicuro sul piano delle armi convenzionali e nucleari tattiche. Per l’Ucraina, l’inde terminatezza dell ’accesso a “quando ci saranno le condizioni” o “a guerra finita” oltre a uno schiaffo a tutte le assicurazioni ricevute dal 2008 in poi, è in realtà una imposizione senza vie d’uscita. Deve vincere ma non può farlo da sola, l’aiu – to esterno non è sufficiente. Oppure Zelensky deve scendere a patti con la Russia (e gli Usa se lo concederanno) rinunciando a parti del territorio che rivendica e all’immagine di combattente per la civiltà che gli è stata cucita addosso. La prospettiva più concreta è quella meno fausta: il conflitto continua per consunzione. Gli ucraini si ridurranno di numero e di morale. I miliardi si volatizzeranno. La sicurezza europea non sarà assicurata, la pace non farà comodo a nessuno. La ricostruzione sarà compromessa e il conflitto con la Russia si tradurrà su entrambi i fronti in una serie di provocazioni, incursioni, “incidenti”, atti di terrorismo, “resistenza popolare”, restrizioni economiche e della libertà, tentativi di colpi di stato. Tutte cose che sempre comportano una buona dose di connivenza e collaborazionismo con il nemico. Ucraina docet.