Estratto dell’articolo di Fulvio Fiano per www.corriere.it, 14 luglio 2023
“LO ZIO DI EMANUELA ORLANDI, MARIO MENEGUZZI, NON C’ENTRA NULLA CON LA SUA SPARIZIONE. È UN DEPISTAGGIO PER SALVARE IL VATICANO" - PARLA UN INVESTIGATORE DELLA POLIZIA CHE SI OCCUPÒ DEL RAPIMENTO DELLA RAGAZZA: “MENEGUZZI AVEVA AMICI NEI SERVIZI SEGRETI, ERA NORMALE CHE LA FAMIGLIA LO INVESTISSE DEL RUOLO DI RISOLUTORE DELLA SITUAZIONE" – "LA PISTA PIÙ PROBABILE RESTA QUELLA DI UNA SOVRAPPOSIZIONE TRA UN CASO DI PEDOFILIA INTERNA AL VATICANO E UN INSERIMENTO DI SOGGETTI ESTERNI. QUALCOSA DI SIMILE A QUANTO ACCADUTO CON CALVI...” - LA FIGURA DELL'AVVOCATO EGIDIO -
«Su Mario Meneguzzi ci attivammo, su nostra iniziativa autonoma, fin dalle primissime ore. Ci colpì quel suo attivismo eccessivo, i modi di fare di chi sembrava sicuro di essere più importante di un semplice zio di Emanuela Orlandi. Poi però chiarimmo tutto e capimmo anche il perché si comportasse così. Con la sparizione della nipote non ha nulla che fare».
Chi parla è un investigatore di primo livello, oggi in pensione, che per quasi 20 anni, a partire da quel giugno 1983, ha seguito il caso della 15enne sparita nel nulla, senza che ancora oggi ci sia una pista certa, prima ancora che un colpevole, di quel fatto di cronaca tornato ancora una volta attuale con le rivelazioni su un possibile coinvolgimento del fratello della mamma. […]
Che tipo di attività svolgeste su di lui? «Intanto va chiarito che l’iniziativa fu nostra e che mai la procura ci trasmise il verbale dell’interrogatorio in cui Natalina riferì di quelle molestie, né fummo noi a informare monsignor Casaroli della confessione da lei resa al suo padre spirituale. Come dicevo, saltava all’occhio il suo darsi così da fare, il tenere i contatti con l’esterno e con i presunti rapitori. Lo seguimmo, ispezionammo anche casa sua, ma la pista tramontò presto». […]
Che cosa intende? «Che lavorando al bar della Camera, avendo amici nei servizi segreti, era normale che anche la famiglia lo investisse del ruolo di risolutore di quella situazione così drammatica. Aveva conoscenze, amicizie, poteva bussare a porte che alla famiglia sarebbero state invece precluse. Ripeto, si rivelò al di sopra di ogni sospetto». […]
Chiedeste anche voi aiuto o collaborazione nelle indagini? «No, ma sapevamo che poteva rivelarsi utile data la piega che prese il caso».
Si riferisce ai presunti o possibili intrighi internazionali? «Sì, tutto va rapportato al clima dell’epoca. Pensi al presunto coinvolgimento di Alì Agca. A noi era chiaro fin da subito che fosse una bufala, una pista rilanciata da qualcuno che aveva interesse a confondere le acque. Però d’altro canto era impossibile tralasciarla e ci ha fatto perdere un sacco di tempo».
Meneguzzi era vicino anche all’avvocato Egidio, altra figura assai discussa, vicina ai servizi segreti. «Diciamo che forse la professione legale non era la sua attività principale. Ufficialmente gestiva un centro di studi internazionali, era console onorario dell’Oman».
Pietro Orlandi non ha dubbi sul fatto che sia emerso oggi questo aspetto dell’indagine: un depistaggio per salvare il Vaticano dalle sue responsabilità. Che ne pensa? «Che forse ha ragione, anche se l’ipotesi del coinvolgimento di una persona vicina a Emanuela può avere una sua logica. Pietro fa bene a invocare la commissione parlamentare, ma non credo che questa porterà a risultati concreti».
A tanti anni di distanza e a mistero irrisolto, che idea le è rimasta del caso? «Tra tutte le tantissime piste prese in considerazione e seguite, la più probabile, anche se non dimostrata, resta quella di una sovrapposizione tra un caso di pedofilia interna al Vaticano e un inserimento di soggetti esterni che hanno provato a usare il caso a loro vantaggio. Penso alla banda della Magliana e al tentativo di riavere somme di denaro dal cardinale Marcinkus. Qualcosa di simile a quanto accaduto con Calvi».