La Stampa, 13 luglio 2023
Ieri il Tesoro ha piazzato sul mercato 8 miliardi di Bot a 12 mesi a fronte dei 10,6 richiesti, un risultato ottenuto però a caro prezzo, visto che gli investitori hanno spuntato un tasso medio del 3,947%, ben 31 punti base in più dell’asta precedente
Ieri il Tesoro ha piazzato sul mercato 8 miliardi di Bot a 12 mesi a fronte dei 10,6 richiesti, un risultato ottenuto però a caro prezzo, visto che gli investitori hanno spuntato un tasso medio del 3,947%, ben 31 punti base in più dell’asta precedente. Un livello record, che non si conosceva da molti anni: in pratica il top da giugno 2012. E oggi si rischia il bis con un’asta di Btp a 3, 7, 15 e 30 anni per un controvalore che oscilla tra 8,5 e 10 miliardi.
Doversi misurare con tassi così alti dimostra quanto stia diventando complesso il percorso che ha davanti il governo. In tutto quest’anno, per rinnovare i titoli in scadenza e finanziare il nuovo fabbisogno, l’Italia deve infatti emettere almeno 321 miliardi di euro di Bot e Btp: a tutto maggio ne erano già entrati 158, dal primo giugno al 31 dicembre l’attività di funding del Tesoro dovrà tenere conto delle scadenze di titoli di Stato a medio e lungo termine per un importo complessivo pari a circa 163 miliardi di euro a cui, specifica il Mef nella nota che sintetizza il programma di emissioni del terzo trimestre, «va aggiunta la quota di fabbisogno del settore statale dei prossimi mesi». E qui vengono i primi problemi, perché nei primi sei mesi di quest’anno il fabbisogno aveva già raggiunto quota 95 miliardi di euro, più del doppio rispetto ai 42,8 miliardi del 2022. Colpa dei crediti d’imposta concessi alle imprese per compensare le spese sostenute per acquistare energia elettrica e gas – segnala il documento del Dipartimento del Tesoro – dei bonus edilizi (tra cui superbonus e bonus facciate), l’aumento della spesa pensionistica con gli aumenti entrati in vigore a inizio anno, l’erogazione ed il rafforzamento dell’assegno unico universale, la maggior spesa delle amministrazioni centrali ed i maggiori prelievi degli enti territoriali. Di contro, l’anno passato il Tesoro aveva potuto contabilizzare 10 miliardi di introiti extra legati alle sovvenzioni previste dal Pnrr, che invece a tutt’oggi mancano con la terza rata ancora in ballo e la quarta in alto mare. «Al momento la situazione è gestibile» ha spiegato ieri il ministro dell’Economia Giorgetti. Appunto, al momento.
La terza rata dovrebbe essere sbloccata molto probabilmente a giorni, con ritardo di diversi mesi rispetto alle tempistiche medie del Pnrr a cui ci aveva abituato Draghi e di quasi otto mesi rispetto al termine del 31 dicembre 2022 entro cui dovevano essere raggiunti i relativi obiettivi, e comunque poi passerà altro tempo prima di ottenere in concreto questi nuovi fondi. La quarta rata, invece, nonostante la professione di ottimismo di Giorgia Meloni, oggi è invece proprio in alto mare. Non è allarmismo visto che giusto ieri la Commissione europea, dopo aver confermato di aver ricevuto dall’Italia la richiesta di modificare 10 dei 27 obiettivi del Pnrr relativi al primo semestre 2023, ha fatto sapere che ora dovrà valutare se il nuovo piano soddisfa ancora i criteri di valutazione del regolamento europeo del recovery fund. Servirà tempo, però, almeno due mesi. Se poi la valutazione sarà positiva, come spiegava ieri una nota della portavoce, la Commissione «presenterà una proposta di decisione di esecuzione del Consiglio modificata per riflettere le modifiche al piano italiano». A loro volta gli stati europei avranno quindi fino a quattro settimane per approvarla e solo dopo il loro ok il nostro governo «potrà presentare rapidamente la sua quarta richiesta di pagamento e continuare l’effettiva attuazione del suo piano per la ripresa e la resilienza».
Sarebbe un miracolo se si riuscisse a farcela entro l’anno, hanno fatto sapere fonti di Bruxelles. Molto più probabile che il maxibonifico da 16 miliardi slitti invece ai primi mesi del 2024. Per rimediare, come già anticipato da La Stampa, il Tesoro sarà quindi costretto a prevedere una emissione straordinaria di titoli di debito per coprire il buco. Operazione fondamentale per abbassare il fabbisogno. Calcolando la quarta rata in scadenza al 30 giugno e la quinta che dovrebbe maturare il 31 dicembre si tratta in tutto di 39,1 miliardi lordi, 34 al netto della quota degli anticipi. Andranno così sostituiti 28,7 miliardi di prestiti lordi, già però conteggiati nel debito annuale (per cui i saldi non cambiano, ma semmai si dovrà pagare un interesse ben più alto di quello spuntato a livello comunitario), e soprattutto 10 miliardi circa di sovvenzioni (vitali, come visto, per contribuire ad abbassare il fabbisogno) che invece andranno aggiunti allo stock annuale aggravando una situazione che già oggi non si presenta facile.
A causa dell’aumento dei tassi ufficiali, infatti, il debito pubblico (che a giugno ha raggiunto quota 2.756 miliardi di euro), rappresenta una delle grandi palle al piede del nostro governo in vista della preparazione della manovra di fine anno. La precedente legge di Bilancio prevedeva infatti un aumento a 84 miliardi della spesa per interessi nel triennio 2023-25, passando dai 186,066 miliardi di onere stimati dal Documento di economia e finanza dell’aprile 2022 a 270,2 miliardi, con un aumento in termini nominali del 45,2%: 19,4 miliardi in più sul 2023, 30 sul 2024 e 34,7 sul 2025. Con la prossima riunione del board della Bce del 27 luglio dal 4% il costo del denaro dovrebbe passare al 4,25% per cui la situazione è destinata a diventare ancora più pesante: passeremmo infatti dai 75 miliardi di spesa messi a bilancio per quest’anno agli 85 del 2024, ai 91 del 2025 sino a toccare quota 100 miliardi nel 2026, con una crescita esponenziale (legata anche all’aumento dello stock complessivo) rispettivamente di 10, 16 e 25 miliardi di euro che portano l’incremento nell’intero triennio a quota 51 miliardi di euro. Giusto per complicare la vita al governo fin quasi alla fine della legislatura.