Corriere della Sera, 13 luglio 2023
Intervista a Cecilia Gasdìa
Quello della lirica è un ambiente difficile.
«Dice?».
Cecilia Gasdìa, grande soprano che ha cantato sui palchi più prestigiosi, oggi sovrintendente della Fondazione Arena di Verona, ha una passione inscalfibile per l’opera e l’understatement che non ti aspetti da chi è stata una diva.
Certo che è difficile. Ci sono tifoserie, il dissenso si manifesta con i «buu», i melomani sono ultra esigenti, solo per dirne alcune...
«È vero, è vero. È un mondo come quello degli sportivi e il cantante lirico è come fosse un atleta olimpionico: serve un addestramento continuo. È un ambiente molto selettivo, per questo dico che il primo requisito per un cantante lirico è la salute. Sa, noi non abbiamo il playback e ogni sera si comincia daccapo».
Anche questo è un bello stress. No?
«Pavarotti mi disse: “Non finirò la mia carriera perché non avrò più voce ma per lo stress che si accumula in attesa di entrare in scena”. Le ore che precedono gli spettacoli sono terribili. E ogni volta si riparte da zero: è un mestiere che si fa sempre in diretta».
Ricorda un’attesa particolarmente dura da gestire?
«Quella che mi ha agitata di più – ho provato una tale tensione che dopo 11 giorni mi sono spuntati i primi capelli bianchi, e avevo solo 24 anni – è stata la Traviata del 1984 al Maggio musicale fiorentino con la regia di Franco Zeffirelli, diretta da Carlos Kleiber. Tutti mi aspettavano al varco. Ero talmente livida, e non solo per il trucco, che il maestro Kleiber mi prese le mani e mi disse: “Non ti preoccupare di nulla, stasera sono tuo padre”. Tutte le sere si vive questo travaglio, poi sali sul palco ed è come se ti facessero una anestesia totale».
La sua carriera è iniziata in modo anomalo, vero?
«Studiavo canto da pochissimo e non volevo fare la cantante, ma la mia insegnante mi iscrisse a un concorso della Rai intitolato a Maria Callas. Su circa 380 concorrenti vinsi io, avevo 20 anni, ero la più giovane. Mi trovai catapultata in un mondo bellissimo ma che non mi sarei mai aspettata di frequentare».
Perché dice che l’aspettavano al varco?
«Sono stata molto bersagliata perché giovane, non mi perdonavano molte cose. È un mondo feroce il nostro: i melomani hanno i loro beniamini e non si può piacere a tutti. Fa parte del gioco accettare i fischi. Bisogna sempre chinare il capo e ringraziare. A volte uno se li merita pure».
Le è mai successo?
«Due volte, la seconda me li meritavo tutti: non avevo cantato bene, avevano ragione».
Da spettatrice riuscirebbe mai a fischiare qualcuno?
«No, assolutamente. Purtroppo o per fortuna so quanta fatica fa un cantante per arrivare dove arriva. Tendo a perdonarlo. Come direttrice teatrale chiedo invece massima serietà e professionalità».
Divismi? Ne ha visti?
«I cantanti più famosi sono di solito i più professionali e umili. Poi ci sono quelli che hanno amuleti e rituali: uno aveva con sé un altare pieno di crocifissi, un altro doveva entrare sul palco sempre con lo stesso piede, un altro ancora si scolava una bottiglia di vino prima di andare in scena. Io non sono scaramantica ma bisogna capirli, i cantanti. Sono legati alla voce: ogni mattina emetti i primi suoni e speri che tutto funzioni».
Lei è stata famosissima, poi ha scelto di proseguire la sua carriera dietro le quinte.
«Non ho mai cercato la fama, anzi ho un po’ subito nel primo decennio della mia carriera questa curiosità, a volte sentivo i fucili puntati. La vita mi ha portato a rallentare, ho avuto dei figli, fatto altro. Il mio addio alle scene è avvenuto in silenzio, me lo sono detto tra me e me, senza grandi annunci».
È tra le poche donne chiamate a dirigere una fondazione lirico sinfonica.
«Qualcuna c’è... penso alla dottoressa Purchia che dirigeva il San Carlo. Io sono la prima cantante a farlo. Le donne si stanno occupando piano piano anche di queste mansioni. Siamo tantissime donne in Arena, ben quattro si chiamano Cecilia, dobbiamo chiamarci per cognome per non fare confusione. In sovrintendenza siamo solo donne: nessuna scelta di campo, solo le ragazze che si erano presentate per quelle posizioni sembravano più adatte dei colleghi uomini. E infatti sono bravissime».
Si è parlato di una sua rivalità con Katia Ricciarelli.
«In realtà siamo molto amiche. Quando cantavamo lei aveva già 15 anni di carriera alle spalle, era affermatissima. Mai state rivali, avevamo repertori diversi. I soprani tra loro tendono a non amarsi, ma c’è posto per tutti».
Andrebbe mai al «Grande Fratello» come ha fatto lei?
«No, non credo proprio».
Un ex collega che le è caro?
«Ho imparato da tutti, ma cito Domingo: l’ho conosciuto quando avevo 17 anni e facevo la comparsa. Lì ho visto come si comportava in teatro: era gentile con tutti e non solo con i cantanti».
È accusato di molestie. Cosa ne pensa?
«Preferisco evitare questo argomento».
Renata Tebaldi?
«Avevo un bellissimo rapporto: era nella giuria che mi selezionò al concorso Rai. All’inizio della mia carriera debuttai alla Scala per sostituire Montserrat Caballé: nessuno voleva farlo, chiesero a me che avevo 21 anni ed ero quindi pazza. Renata venne in camerino per farmi l’in bocca al lupo: indossavo un costume che era stato di Maria Callas, originale del 1957. Mi regalò una catenina d’oro con l’effige di santa Cecilia da cui non si era mai separata, come buon augurio per la mia carriera».
Funzionò.
«Alla grande. Se canti alla Scala e non vieni buttato fuori dai fischi si può dire».
A chi deve dire grazie?
«Al maestro Muti, il primo che mi volle sentire, un mese dopo la vittoria del concorso: mi scritturò subito al Maggio. Nel 2021 è tornato in Arena e mi ha fatto una bellissima dedica: “A Cecilia, con antica amicizia”. Ho avuto la fortuna di cantare per i più grandi direttori: lui, Abbado, Carlos Kleiber, Prêtre, Karajan».
Ha notato una cosa? Sono tutti maschi.
«Ma ho cantato anche per delle donne, oggi poi le direttrici sono tantissime».
È in corso da tempo una polemica anche politica con il sindaco di Verona. Come stanno le cose?
«I rapporti di collaborazione con il Comune sono precisi e puntuali».
Eppure tutto è finito in tribunale...
(Non commenta...)
Mai tentata di tornare a cantare in pubblico?
«No, vorrei lasciare un bel ricordo. Non ho abbandonato lo studio, ma ormai canto in bagno, lo faccio solo per me».