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 2023  luglio 13 Giovedì calendario

Beatrice Borromeo spiega l’analogia tra la morte accidentale di Alfonso di Portogallo e la tragedia di Cavallo

«Il Principe», la docu-serie su Vittorio Emanuele di Savoia e il caso dell’omicidio di Cavallo, è in testa alle classifiche di Netflix e alle reazioni su un finale a dir poco sorprendente. Il principe in un fuori onda «ammette» di essere stato testimone di un altro «incidente» con protagonista un giovane re Juan Carlos. La regista e produttrice Beatrice Borromeo sino ad oggi non è entrata in merito a come e perché di quella scelta. Lo fa adesso, per la prima volta. Raccontando altre verità.
Beatrice Borromeo, cosa sta succedendo?
«Penso che tutto lo scalpore che sta emergendo attorno alla nostra serie sia comprensibile. In fondo parliamo di una faccenda che in molti credevano di conoscere, ma che era avvolta dalla confusione. Per la prima volta in oltre quarant’anni siamo riusciti a far parlare tutti i protagonisti e i testimoni oculari di quella notte. Ne è emerso un racconto inedito e completo a cui la gente si sta appassionando, sia in Italia che all’estero».
Parte del rumore dipende anche dalla rivelazione in coda al documentario. Non dica che non si aspettava reazioni così forti dopo un finale così a sorpresa.
«Ero anzi stupita che nei primi giorni dopo il lancio nessuno parlasse di quella registrazione, che è fondamentale per capire davvero la storia di Vittorio Emanuele. Quello scoop può sembrare scollegato dal resto del documentario solo a un osservatore distratto: il fatto che Savoia, durante la sua adolescenza, cioè negli anni in cui s’impara tutto del mondo, abbia assistito a un incidente analogo al suo, che ha provocato una morte subito insabbiata (quella del fratello minore di Juan Carlos, Alfonso, ucciso da un colpo accidentale d’arma da fuoco, ndr), è il tassello mancante per capire davvero la vicenda di Cavallo».
Ma come avete ottenuto quella confessione?
«Vittorio Emanuele ha ripetuto la storia di Juan Carlos varie volte in coda alla sua intervista, a me e poi ad altri membri della troupe. È stato lui stesso, spontaneamente, a mettere in collegamento le due vicende. Credo l’abbia fatto per via della profonda analogia tra loro, sia per la dinamica degli incidenti sia per come sono stati gestiti dopo. Credo quindi che ce l’abbia voluto raccontare per farci capire a fondo qual era il contesto in cui è cresciuto. Era un materiale delicato, ma quando Paolo Bernardelli, il nostro produttore esecutivo, ha avuto l’idea di mettere la registrazione in coda abbiamo subito capito che funzionava, perché donava quella chiave di lettura in più per poter rileggere i tre episodi con una consapevolezza nuova».
Quindi ha pensato parecchio se pubblicare o meno quel finale?
«Ci ho molto riflettuto perché per me i rapporti umani, soprattutto se nascono su terreni così improbabili come con Emanuele Filiberto, vanno protetti. Ho grande rispetto del percorso che ha fatto nell’affrontare il passato così da poterlo chiudere. Ma quel tassello mancante che Vittorio Emanuele ha voluto condividere con noi, era giusto condividerlo col pubblico».
Emanuele Filiberto dopo averla aiutata nel realizzare questo documentario, sembrerebbe si stia pentendo. Come sono andate le cose e come stanno andando?
«Ha dichiarato di non essere pentito e credo non debba esserlo, perché di lui esce un ritratto profondo e inedito. Mi ha fatto un grande piacere che abbia considerato il documentario equilibrato, ed è stato grazie al suo aiuto se siamo riusciti ad aprire anche tante altre finestre sulla vita del principe: la sua infanzia, gli anni dell’esilio, la storia d’amore con Marina, l’Iran, e il suo essere figlio trascurato che è riuscito a spezzare quella dinamica anaffettiva diventando un buon padre. Cosa che, tra l’altro, rende molto umano il fatto che Emanuele lo difenderà, a prescindere, per tutta la vita».
Marina Doria non ha mai voluto parlare con lei, perché lo ha fatto questa volta?
«Grazie anche in questo caso a Emanuele Filiberto. Non credo che Marina avrebbe mai parlato con me, ma ha accettato di rispondere alle mie domande tramite suo figlio, che l’ha registrata. Per me era fondamentale che ci fosse lei, che è così centrale nella storia».
Qualcuno dice che Emanuele Filiberto l’ha accolta perché oggi lei è anche una Casiraghi, dimenticando che è stata una giornalista con alle spalle inchieste forti su prostituzione, mafia, e delinquenza minorile. Come reagisce di fronte a queste insinuazioni?
«Credo che valga quello che mi ha detto Emanuele: che gli piace il confronto pulito. E penso davvero che questo lo sia stato».
La verità verrà mai scritta senza nebbie?
«I fatti e tutte le versioni sono oggi a disposizione di chi vuole conoscerli. Ma questo documentario va al di là dell’inchiesta, è il racconto di traumi ereditati per generazioni e di viaggi coraggiosi alla ricerca della riconciliazione col passato».