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 2023  luglio 12 Mercoledì calendario

Guareschi e l’odor di merda

Giovannino Guareschi attorno agli anni Sessanta amava sfrecciare su una Fiat 1500 cabriolet, con un vistoso foulard che gli sventolava al collo. Uno spuntino all’aperto con lambrusco e culatello e poi via, ancora a dare gomma alla sua cabrio. L’inventore di Peppone e Don Camillo era già una superstar, i suoi libri vendevano milioni di copie ed era l’autore italiano più tradotto al mondo. Fernandel e Gino Cervi avevano già portato al cinema con enorme successo la saga delle tre voci – sì perché oltre a loro due c’era anche un altro protagonista, il crocifisso parlante. Però rimase un uomo semplice fino alla fine, il successo planetario non gli diede alla testa. Una semplicità che fu anche un po’ la bandiera di Guareschi, come ha ricordato più volte lo studioso Gustavo Marchesi: “Diede sapore di vero, tanto ai suoi scritti, quanto alla sua esistenza, in totale sintonia con la civiltà contadina, la stessa di Verdi, una condizione umana indispensabile alla sua vena di scrittore, a reggere la volontà nel faticato mestiere che, col passare degli anni, tendeva a piegarlo”. Come dire che l’ossigeno alla fantasia gli veniva dal clima, dall ’umidità greve della Bassa padana, che molti giudicano quantomeno irrespirabile. Ma chi è cresciuto in riva al grande fiume, se ne fa una ragione, come hanno raccontato in tanti, uno su tutti Bernardo Bertolucci nel suo Novecento: la saga animata da Gérard Depardieu e Robert De Niro racconta proprio questo, di rane cacciate nei fossi, di stalle con le mosche, di povertà affievolita da un’armonica suonata per i figli. Nebbia d’inverno e afa d’estate, zanzare al loro apice, umidità che si taglia a fette, il tutto però condito da magia. Un aneddoto emblematico, sempre Marchesi: “Un’aria nutriente per la terra, deve esserlo anche per l’uomo, per la sua mente”. In proposito il mio carissimo Augusto Lamoretti (per qualche tempo sindaco di Busseto), mi ha lasciato un ricordo ammirevole di Guareschi. Una volta (sicuramente dopo il 1961) il suo editore, l’onnipotente cumenda Angelo Rizzoli, era venuto col figlio Andrea a Roncole di Busseto, per tentare di convincerlo a un “nuovo grande progetto” di collaborazione. Lamoretti fece l’atto di allontanarsi, per lasciarli soli a conversare senza orecchie indiscrete. Giovannino in modo piuttosto sbrigativo lo pregò di restare. E così, a un tavolino davanti al locale, senza nessuna parvenza di etichetta, i Rizzoli per quasi un pomeriggio si provarono invano a sedurre il loro prezioso campione”. Il momento era particolarmente delicato: in seguito alle pressioni esercitate da alte gerarchie politiche, Guareschi si era dimesso da Candido, il settimanale da lui fondato per conto della Rizzoli, nel 1945. Il gesto provocò la chiusura del periodico e Guareschi a metà ottobre del 1961 espresse il suo rammarico ad Andrea Rizzoli. “Se avesse saputo che la lettera di dimissioni avrebbe provocato la soppressione della ‘creatura’, si sarebbe rimangiato il proposito dimissionario”. Ma il dado era tratto; fine. Ed ecco le conseguenze: chiuso Candido, i Rizzoli stavano dunque bussando alla porta di colui che aveva suscitato il clamore più indiavolato a favore della loro Casa. Lo rivolevano a Milano, gli offrirono una sistemazione stabile che avrebbe fatto invidia a tutti i suoi colleghi della carta stampata, un incarico dirigenziale all’interno dell’editrice, un contratto che Guareschi poteva regolare a piacimento e che, dati i cospicui guadagni, gli alleviavano l’obbligo di scrivere da forzato, con dispendio di energie. Naturalmente avrebbe dovuto trasferirsi di nuovo a Milano. E qui stava il problema. Guareschi si rifiutava di staccarsi da Roncole: a parte che aveva aperto un ristorante, e lontano di lì non riusciva neanche a pensare. Avrebbe mandato gli articoli per ferrovia, con la solita posta fuori sacco, ma lui il treno per Milano non lo prendeva. I Rizzoli, a ogni rifiuto, rilanciavano alzando il valore dell ’offerta. Fu verso il tramonto, quando su tutto il circondario si sparse un irritante effluvio di letame, aggravato dal vapore afoso della tarda estate, che Guareschi lanciò ai suoi interlocutori la stoccata risolutiva, una domanda retorica: “...ma poi sinceramente, dite: ma come farei a vivere, poi? A vivere senza di questo bell’odore di merda?”. I due ammutoliti si alzarono di scatto, si congedarono e raggiunsero la loro Chevrolet… l’olezzo dei campi aveva sconfitto quello dei bigliettoni”. Proprio come diceva Louis-Ferdinand Céline: “L’unica cosa che ci dà il senso dell’essere è l’odeur de merde”