La Stampa, 12 luglio 2023
Dove ballano gli italiani
Un’epoca tramonta, ed eccone una nuova a risplendere nelle notti danzanti dei ragazzi: si balla sulle spiagge, negli agriturismi e nelle ville affittate o messe in qualche modo a disposizione fra città e dintorni, purché ci sia un dj, un impianto e spazi isolati che non molestino troppo il vicinato.
Gianni Indino, dirigente nazionale del Silb, il sindacato gestori di discoteche, lo registra ogni weekend in Romagna soprattutto ora che l’estate è esplosa: «L’altra sera, sul litorale di Rimini, si sono accordati i gestori di tre stabilimenti balneari confinanti e hanno fatto ballare cinquemila persone sulla spiaggia – racconta –. Il tutto con servizi igienici insufficienti, dato che c’era solo un bagno per stabilimento, e in condizioni di sicurezza tutte da verificare. Si può capire come eventi del genere siano ampiamente irregolari».
Ecco, l’avvento di nuove mode che sulla riviera romagnola, da sempre locomotiva del divertimento notturno italiano, si manifestano già da anni da Marina di Ravenna a Cattolica, sta in quest’immagine plastica: migliaia di ragazzi che ballano in spiaggia. Una tendenza che si diffonde a macchia d’olio su tutte le nostre coste, da Jesolo al Salento risalendo l’altro litorale, quello tirrenico: «Ormai sta diventando così ovunque – aggiunge Indino –, dalla costa veneta alla Riviera romagnola, fino al Salento, e poi Campania, Lazio, Toscana Liguria. Ed è la stessa cosa in Sicilia e in Sardegna».
È anche vero che ballare davanti al mare rende la soluzione irresistibile, ma la deregulation interessa scenari inediti dai risvolti furbeschi: «Ci sono agriturismi dove si inventano feste per i prodotti del territorio, dalle olive ascolane al sushi, come è capitato, che sono delle prese in giro – dice il dirigente Silb –. Sono le cose abusive, ovunque si svolgano, che tolgono pubblico ai locali. Il nostro mondo, oggi ridotto a 3 mila locali, dà lavoro a circa 35 mila persone. E per una di queste attività irregolari che troviamo, ne sorgono altre due…».
Nel fai-da-te del ballo collettivo moderno affiora un altro sotto-fenomeno, le feste in ville affittate dove sono forniti impianto e dj, frequentate da adolescenti (14-20 anni) e segnalate a Roma. E mentre il ballo-ovunque dilaga vittorioso, sull’altro fronte si contano i caduti: «Hanno chiuso due discoteche su tre rispetto ai tempi d’oro, fra gli Anni ’’80 e ’90», dicono al Silb. Dj Cirillo, già star della console al Cocoricò, per anni la miglior techno disco del Paese, conosce bene il mondo della notte e ci lavora tuttora. Sulla fuga dai locali in direzione spiaggia, agriturismo o altro, ha una sua idea: «Molta gente si sente più libera di andare in luoghi dove magari non deve pagare l’ingresso, dove stare magari un paio d’ore, il più delle volte all’aperto, e bersi eventualmente qualche drink. La discoteca invece implica file, costi a volte alti, trasporti non facilitati e molto costosi». Et voilà, ragazze e ragazzi migrano verso mete più libere e, soprattutto, prive di costrizioni organizzativo-archittettoniche: bevono al bar della spiaggia, ballano sulla sabbia e poi niente impedisce il bagno di mezzanotte.
Ma la vecchia discoteca? Com’è che la provincia italiana è disseminata di ruderi affascinanti che fino dieci-vent’anni fa pompavano bassi e ritmi a tutto volume, attirando centinaia di migliaia di persone ogni sabato e molti venerdì della settimana, e invece oggi sono vestigia di un’epoca remota? Dj Cirillo: «La vera esplosione delle disco, da fine Anni ’70- inizio ’80 fino alla fine del decennio successivo, è stata spropositata in Italia e in tutto il mondo, dopodiché, a parte Ibiza che ancora tiene testa a tutti, la mega bolla si è sgonfiata. In realtà c’era troppa offerta e il più delle volte di scarsa qualità».
Il Silb dà conto del declino: quarant’anni fa, la golden age delle discoteche, in Italia c’erano 8-9 mila locali. Il picco lo si toccò negli Anni ’90, con un picco di 9 mila. Oggi ne resistono fra le 3.000 e le 3.500. Puntando la lente d’ingrandimento su una zona chiave per il night clubbing di casa nostra, solo a Rimini una volta c’erano 150 locali. Oggi se ne vedono aperti solo una quarantina. Una tendenza irreversibile secondo dj Cirillo, segno di un declino che come sempre porta altrove, verso posti diversi dove si continua a ballare: «Invertire questa tendenza tornando al passato è impossibile – dice il disc-jockey –. Per fortuna però ci sono realtà, come il nuovo Cocoricò, che si sono rinnovate per poter lavorare nella realtà musicale attuale. Rispetto al passato c’è pure da considerare la realtà odierna del digitale e dei social, sempre più veloci e invasivi, che gioca un ruolo nella carenza di creatività di molti locali. Una realtà che porta a cancellare interesse per qualsiasi cosa sia troppo impegnativa da seguire». Nessuna nostalgia per un passato irripetibile, ma consapevolezza di quel che va accadendo, sì. Perché se è vero che fra Anni ’80 e ’90 si sono manifestati talenti imprenditoriali che hanno fatto la storia del night clubbing, dal Paradiso di Rimini al Byblos allo stesso Cocoricò – ma c’erano ottimi locali dal Garda alla Toscana, alla Capitale –, il nuovo nomadismo dance potrà essere gestito e, chissà, magari portare a modelli di ballo mai visti prima. Nel senso che il flusso del pubblico, come suggeriscono gli esperti dalle antenne più sensibili, va assecondato e organizzato, con le regole del caso. Che suona come l’antico detto della montagna e di Maometto. —