la Repubblica, 12 luglio 2023
Sarah Bernhardt in mostra
È bello il titolo della mostra che Parigi dedica a Sarah Bernhardt: Et la femme créa la star, e la donna creò la diva. Parafrasa un po’ il titolo di un famoso film di Roger Vadim però è giusto perché furono proprio le eccezionali qualità umane che lentamente, non senza qualche iniziale rovescio, imposero Sarah sui palcoscenici dei “due mondi” fino a farne l’attrice per eccellenza a cavallo tra ‘800 e ‘900, l’interprete alla quale ogni eccesso, ogni stravaganza, costosa o scandalosa che fosse, veniva perdonata.
La mostra parigina (Petit Palais, fino al 27 agosto a cura di Stéphanie Cantarutti e Cécile Champy-Vinas) è seducente, completa, frutto di cinque anni di lavoro, con una selezione finale di circa 400 opere tra documenti, lettere, foto e costumi originali, dipinti e sculture su di lei o da lei eseguite (con indiscutibile maestria), perfino un paio di minuti della sua voce con alcuni versi della Phèdre, registrati da Thomas Edison a New York durante una tournée americana negli anni Ottanta.
Era nata per essere ciò che fu, a dispetto delle difficoltà economiche e familiari. Ha scritto di lei un cronista: «La “Divina” ha conosciuto l’inferno, quello della miseria, dell’abbandono, dell’incertezza del domani e della vergogna, all’ombra di una madre scandalosa». Si chiamava Judith-Julie sua madre, ebrea d’origine olandese, ufficialmente modista, in realtà cocotte col nome d’arte di “Youle”. Sua madre non ha tempo per lei, la mette a balia in Bretagna dove Sarah cresce in uno stato semiselvaggio fino a quando non la mandano a Versailles in un internato tenuto dalle suore agostiniane. Lì, com’era facile prevedere, si converte al cattolicesimo e interpreta il suo primo ruolo in una recita amatoriale: un angelo. Né la conversione né il ruolo angelico le impediscono comunque di finire, qualche anno più tardi, sul registro delle prostitute. Il colpo di fortuna arriva grazie al duca di Morny, fratellastro di Napoleone III, uno di quei discutibili personaggi, a loro modo grandiosi, che hanno illustrato la metà del XIX secolo. Tra l’altro si vociferava che il duca fosse il padre naturale del grande commediografo Georges Feydeau, concepito anchein questo caso, con una cocotte. Youle è una delle amanti del duca, per una volta si ricorda di essere anche una madre; lo prega d’intervenire perché Sarah sia ammessa alla Comédie-Française.
Così avviene, al Duca di Morny non si può dire di no. Il direttore di quel prestigioso istituto non sa di aver accolto una ribelle ma anche una delle più brillanti interpreti che mai abbia avuto. La serpe si rivela subito quando Sarah schiaffeggia una rivale con la quale ha avuto dei contrasti e viene cacciata. Continua a recitare altrove, conosce tali successi che il direttore va di persona a pregarla di rientrare. Lo fa, ma durerà poco e per sua scelta questa volta. Ben presto Sarah si conquista un teatro da 1500 posti in Place du Châtelet col suo nome a grandi caratteri sulla facciata. Un episodio illustra il clima. Dopo la tempestosa prima di Hernani (1877) Victor Hugo le invia un braccialetto con un diamante a forma di goccia accompagnato da queste parole degne dell’autore dei Miserabili: «Lei ha commosso questo vecchio combattente, mentre il pubblico incantato la applaudiva, io ho pianto. La lacrima che mi avete fatto versare ora è vostra».
L’affermazione continuò ad essere travolgente. La connotavano una “voce d’oro”, come si disse, ma anche l’intensità fisica delle sue interpretazioni, la capacità di calarsi interamente nel ruolo, quasi anticipando quel metodo Stanislavskij dal quale nascerà l’Actors’studio di New York. Arrivò al punto da poter interpretare con piena credibilità personaggi maschili. A 56 anni recitò con successo nel ruolo dell’ Aiglon, il ventenne figlio di Napoleone, destinato da suo padre – invano – al ruolo di Roi de Rome.
Già dai primi scontri giovanili s’era guadagnata il titolo di “Mademoiselle Révolte”, confermerà la sua natura ribelle non nascondendo per esempio una dichiarata bisessualità, abbandonandosi ad atteggiamenti eccentrici e provocatori, difendendo pubblicamente ogni causa che le paresse meritevole d’appoggio. Quando scoppia il sinistro affare Dreyfus (1894), scende in campo in difesa dell’ufficiale ebreo ingiustamente accusato di spionaggio. Non teme le allusioni velenose che più volte le sono piovute addosso per il naso adunco, i capelli crespi, il dichiarato interesse per il denaro. La difesa di Dreyfus potrebbe nuovamente esporla, ma la sua natura ribelle è più forte e, del resto, Zola è intervenuto con il suo clamoroso “J’accuse”.
Nel febbraio 1915 le viene amputata la gamba destra. Una latente tubercolosi ossea s’era aggravata a seguito delle cadute in scena tra le quali quella del finale di Tosca (il dramma di Sardou dal quale Puccini tratta la sua opera) quando l’eroina deve gettarsi dagli spalti di Castel sant’Angelo. Non si scoraggia, continua a recitare seduta, quando va al fronte a rincuorare i soldati la portano su una specie di sedia gestatoria. Si guadagna lo scherzoso gioco di parole “mère Lachaise”.
Grandi anni furono quelli per le arti. Proust, Debussy, Ravel, la grande pittura seguita all’ondata impressionista, Parigi capitale artistica mondiale. In Italia trionfava Eleonora Duse, Gabriele D’Annunzio faceva la spola con Parigi (anche per sfuggire ai creditori). Come Sarah, voleva anche lui che la sua vita come le opere apparisse un’opera d’arte. I due si conobbero, forse ci fu del tenero, se ne parlò ma non fu mai provato né Sarah ha mai interpretato una delle sue commedie. Al contrario di Eleonora Duse che fece invece della dannunziana Francesca da Rimini,uno dei suoi più applauditi cavalli di battaglia.