la Repubblica, 12 luglio 2023
Nella gigafactory di Musk
BERLINO
Accanto al tunnel luminoso da cui esce ogni Tesla Model Y prodotta nella Gigafactory, l’enorme fabbrica automatizzata che Musk ha voluto per accelerare la produzione di auto e batterie, c’è un gong dorato. Nelle settimane successive all’apertura dell’impianto, quando venivano prodotte soltanto poche decine di vetture, gli operai lo suonavano per sottolineare il passaggio di un’auto “perfetta” che non aveva bisogno di alcun ritocco o aggiustamento. «Ma ora non viene più usato», ci dicono i dipendenti Tesla, lasciando intendere che ormai si rasenta la perfezione.
Proprio accanto a quel gong, a marzo 2022, Elon Musk ballava sotto lo sguardo divertito del cancelliere tedesco Olaf Scholz. I due potevano ritenersi più che soddisfatti. Musk era riuscito a inaugurare in tempi record la sua prima Gigafactory in Europa, vincendo la resistenza degli ambientalisti che lo accusavano di una deforestazione selvaggia e di un consumo eccessivo d’acqua.
Scholz, invece, sorrideva pensando al ritorno economico per la Germania: Tesla aveva investito tra i 5 e i 7 miliardi di dollari nella Gigafactory di Berlino. E aveva promesso di dare lavoro a 12mila persone.
Anche il sindaco di Grünheide, la cittadina più vicina alla fabbrica, pensava che il denaro di Musk avrebbe dato nuovo slancio a una zona che apparteneva alla Germania Est. E che è stata a lungo alle dipendenze della Stasi.
Proprio qui, 30 km a Sud di Berlino, si controllavano una a una le lettere che provenivano dalla Germania Ovest. Della guerra Tesla ha cancellato i segni, in tutti i sensi. Prima che iniziassero i lavori per la Gigafactory, a inizio 2020, l’area è stata bonificata da alcune mine inesplose. Oggi gli scavi procedono solo davanti a quello che un giorno sarà l’ingresso principale dell’impianto, dove bulldozer ed escavatori alzano nuvole di sabbia che investono dipendenti, visitatori e per la prima volta un ristretto numero di giornalisti di testate internazionali tra cui Repubblica.
Tesla apre le porte della sua fabbrica in un momento esaltante. Dalla Gigafactory tedesca escono 5mila vetture a settimana. Un numero cheha contribuito al record di consegne del primo trimestre del 2023, quando sono finite su strada 423mila vetture dell’azienda americana. Il 36% in più rispetto allo stesso periodo del 2022. Musk ha vinto la sua scommessa anche in Germania. Ci è riuscito puntando su un sito studiato per produrre (quasi) tutti i pezzi necessari alla costruzione di unamacchina.
Invece di acquistare e unire componenti prodotti da altri, come fanno da sempre le grandi case automobilistiche, Tesla ha deciso di fondere e stampare direttamente nel suo impianto l’alluminio per lo scheletro e il rivestimento delle sue vetture. Le parti più grandi del telaio per esempio, quelle anteriori e posteriori, escono già formate dalla Giga Press, la pressa per produrre auto più grande al mondo. L’ha inventata Idra, un’azienda bresciana. La Gigafactory tedesca ne ospita otto, inun’area dello stabilimento più calda e oscura dove spiccano alcune bandiere con ossa e teschi. Indicano che qui lavorano i dipendenti che tutti chiamano, scherzosamente, “pirati”. Dall’altra parte della fabbrica, abbastanza grande da contenere 31 campi da calcio, c’è invece una pressa che trasforma grandi fogli di alluminio in cofani e sportelli. Tutti questi pezzi confluiscono nel cuore della Gigafactory, il “Body shop” dove uomini e robot iniziano a mettere insieme le vetture.
Alla danza automatizzata dei bracci meccanici contribuisce anche “Godzilla”: così è chiamato l’enorme arto giallo che solleva i telai per spedirli alla verniciatura. Ma la catena di montaggio Tesla è profondamente umana. Agli operai che assemblano le vetture – circa 300 sugli 11mila complessivi – spettano i compiti più delicati: fissare le parti mobili delle auto o mettere insieme i sedili. Anche le batterie della Model Y – l’unica vettura prodotta in Germania – vengono create sul posto. Nel 2012 Tesla dipendeva unicamente da Panasonic per la loro fornitura, a un costo elevato che influiva profondamente sul prezzo finale delle auto, troppo alto rispetto ai modelli tradizionali a benzina. Ora è diverso. Producendo in autonomia il componente più prezioso delle vetture, e non dovendo acquistarlo in giro per il mondo, Musk è riuscito a fare un balzo cosmico verso l’economia di scala. Così ha potuto abbassare, di recente, i prezzi delle vetture. «Tesla inizialmente mangiava solo soldi – ci ha raccontato Tim Higgins, reporter del Wall Street Journal che sulla storia dell’azienda ha scritto il libroLa scommessa del secolo (Mondadori) – Musk è stato bravo a vendere la sua visione più e più volte».
All’inizio, tuttavia, nessuno credeva nelle Gigafactory. L’imprenditore e i suoi collaboratori hanno scommesso milioni di dollari avviando ugualmente i lavori per la prima mega fabbrica in Nevada. Non li avrebbero mai completati senza l’aiuto di investitori e politici, che solo davanti alle ruspe hanno ceduto al sogno di Musk. Ora le Gigafactory sono sei. Molti governi ne vorrebbero una. L’Italia non sta a guardare. Giorgia Meloni potrebbe averne parlato a Musk a giugno, quando l’imprenditore ha visitato Palazzo Chigi. Ma a quanto pare è in pole position la Francia. «Ci sono diverse opzioni sul tavolo», ha detto Bruno Le Maire, ministro dell’Economia francese. Sembra già di vedere Elon Musk che danza sulle note de La vie en rose.