la Repubblica, 12 luglio 2023
Nel santuario dove i lituani pregano per le vittime dei russi
SIAULIAI (LITUANIA) – Una mano incerta spezza uno stecchino di compensato, ne fa una croce e l’avvolge in un cordino di nailon giallo e azzurro: santa sempre la resistenza ucraina. Poi la pianta qui, in cima alla Collina delle Croci. La chiamano così, anche se è solo un cucuzzolo piccolo piccolo. È il santuario più caro ai lituani, inchino sacro a Dio e alla resistenza dall’invasore russo, rosario di liberazione. Cinquanta chilometri sotto il confine lettone, tra i boschi che non finiscono mai. Ce ne sono quattrocentomila, di croci: di legno, metallo, granito, alte cinque centimetri o dieci metri, erose dalla pioggia, bruciate dal sole. Qui si piantano croci da 190 anni, senza insegne, colori, bandiere. Soltanto a Kiev concedono un’eccezione, eccezione sventurata come la guerra.
Alla Collina si arriva in auto, guidando per due ore dalla capitale lettone Riga. Un rettilineo placido, un paio di distributori in mezzo a foreste e qualche fattoria. C’è un parcheggio, sei bancarelle in cui si comprano croci con un punteruolo a cinque euro, un bagno a pagamento, un viale lungo che conduce ai piedi della collinetta, tagliata in due da una scala di gradini in legno. I lituani salgono in silenzio. Statue del Cristo in legno e, in cima, la statua di una Madonna. E soprattutto croci: così tante, strette, barocche, kitsch, povere, spettrali, maestose, strane, disperate, strette, soprattutto strette, da far perdere l’equilibrio.
I colori sono l’unica guida. Intorno, il verde e il giallo dei prati e del grano. Sulla Collina, tutte le sfumature del marrone del legno, la luce risucchiata dal grigio scuro delle croci. E poi c’è il giallo, giallo d‘Ucraina. Su una c’è scritto: ‘’Dopo le vite innocenti strappate dal Covid, adesso quelle dei soldati, degli uomini e delle donne ucraini’’.
In Lituania non puoi nominare Mosca, la minaccia è vicina almeno quanto le atomiche tattiche schierate al confine con la Bielorussia, a poche decine di chilometri da Vilnius. Nella capitale, mentre si apre il vertice Nato, Volodymyr Zelensky è infuriato perché gli alleati non gli garantiscono una data certa per l’adesione all’Alleanza. Chi lo sostiene? Sempre loro: lituani, lettoni, estoni, scandinavi. Devi sentire qualcosa, per sposare davvero la causa e piantare croci su un colle.
Croci avvolte in un fiocco giallo e azzurro, il tridente d’Ucraina, croci gialle che chiedono “pace per l’Ucraina”, oppure “Slava Ukraini”. Croci con scritto sopra: “Dio vincerà sul diavolo”: l’ha portata un lituano di cinquantasei anni, nel giorno del suo compleanno. Hanno permesso anche di piantare qualchebandierina di Kiev, altra eccezione. Neanche la croce dedicata alle vittime del disastro aereo nel quale morì il presidente Lech Kaczynski ha l’onore della bandiera.
Ogni cattolico lituano prova a visitare la Collina almeno una voltanella vita: prima di sposarsi, quando aspetta un figlio, per pregare dopo un lutto, per consegnare un dolore o pronunciare una promessa. Lo fanno da due secoli. Tutto ebbe inizio attorno agli anni Trenta dell’Ottocento, o almeno così tramandano da queste parti. Una rivolta contro lo Zar finì nel sangue, ma ai lituani impedirono di rendere onore ai rivoltosi. Qualcuno pensò: piantiamo croci per protesta.
Accadde di nuovo qualche decennio dopo: morti, sangue, croci. Il piccolo monte che si trasforma in luogo sacro, il nemico è sempre lo stesso. Con l’invasione sovietica l’altura diventa leggenda, cattolicesimo e resistenza si fondono. Il regime non tollera. Si innervosisce, prova a estirpare l’eresia. Come non ci riuscì lo Zar, non riescono neanche i bulldozer sovietici. Le tentano tutte, su ordine di Mosca. Missioni notturne per strappare dal suolo le croci, le ruspe a cancellare, gli incendi, addirittura un allagamento doloso (decenni prima della diga di Kakhovka). Niente, il giorno dopo una mano resistente torna sempre a fissare una croce. Crolla il gigante dai piedi d’argilla, si sfaldano i muri, i baltici diventano liberi, i lituani indipendenti.
Il culto si fonde con la leggenda: sacro e pagano, politica e religione. Nel 1993 Giovanni Paolo II sceglie la Collina per pregare, in mezzo alle croci. Fino alla notte del 24 febbraio 2022, all’invasione dell’Ucraina. E il cucuzzolo si apre ai colori dell’alleato che combatte a Est.
Il silenzio della Collina è quello di Vilnius, a sera. Blindata e severa. Poi però sfreccia un’auto, è Zelensky. Scende, si tuffa su un palco della città vecchia, se la prende con i leader che frenano sull’ingresso nella Nato. Sventola una bandiera, «è quella della resistenza a Bakhmut». Ancora bandiere e croci, lungo il confine orientale d’Europa.