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 2023  luglio 12 Mercoledì calendario

Renzi, Calenda e la lista alle Europee appesa a un filo



ROMA «Calenda è pazzo, ha sbagliato il dosaggio delle pilloline». «Volgarità gratuite, Matteo pensa di essere il marchese del Grillo, ma ormai la pazienza è finita». Parole forti, nei mesi scorsi, seguite da scontate smentite. Ma finché in una coppia si litiga, soprattutto in una coppia politica, c’è un sentimento che scorre, c’è sempre la possibilità e la speranza che si possa tornare a guardarsi negli occhi e dirsi sì, io ho sbagliato, tu hai sbagliato, ma le ragioni che ci hanno portato a unirci non sono perdute, dai: «Ricominciamo». Ma quando nemmeno le note della canzone di Adriano Pappalardo ti vengono in soccorso, subentra il silenzio. Carlo Calenda e Matteo Renzi non si parlano più. Vivono nella stessa casa, condividono gli stessi (non tanti) parlamentari, ma restano muti, in attesa, ognuno dei due, che la tortura del silenzio porti l’altro a perdere la brocca.
5 luglio, bomboniera del Senato. Daniela Santanchè annaspa davanti alla sua maggioranza e al presidente di Palazzo Madama, che non vedono l’ora che suoni la campanella. Calenda vorrebbe tanto parlare e chiederle le dimissioni. Ma non si può, perché Renzi non vuole. Proprio lui, che nel carniere delle dimissioni ha Maurizio Lupi, Ignazio Marino, Annamaria Cancellieri, Nunzia De Girolamo, per fermarsi soltanto a quelli toccati o sfiorati da inchieste giudiziarie. Carlo e Matteo sono seduti nella stessa fila, a quattro scranni di distanza, e non si guardano nemmeno. Eppure tutti e due aspettano senza pregiudizi la riforma della Giustizia di Carlo Nordio, con Renzi che ha addirittura chiesto a Ivan Scalfarotto di lasciargli il posto in Commissione.
Ma ormai nulla li unisce davvero, con i risultati delle Amministrative che danno il Terzo polo quasi non pervenuto e con i sondaggi traballanti che ormai contano Azione e Italia viva come due forze separate. È più un problema per Calenda che per Renzi. Il primo è alla ricerca di una rivincita elettorale, magari già alle Europee, l’altro pensa che ormai si è votato e la politica si fa qui ed ora, nelle aule parlamentari, dove una pattuglia ben diretta, seppur piccola, può fare qua e là la differenza. Calenda cerca contatti sulle cose concrete con le altre opposizioni, per esempio sul salario minimo, che poi magari da cosa nasce cosa, Renzi la considera una inutile battaglietta di bandiera.
Carlo è stato tentato di far da solo alla Camera e al Senato, Matteo non aspetta altro che uno strappo per sfilargli la fetta più grossa dei gruppi parlamentari. Calenda non crede a un opposizione pregiudiziale ma non intende fare da stampella al centrodestra. Nemmeno Renzi pensa minimamente di fare da stampella a chicchessia, ma persegue la politica dell’entrismo per poi, nel caso, far scoppiare le contraddizioni, ed è frenato soprattutto dal fatto che Giorgia Meloni non si fida.
L’ultimo scontro
In Aula Calenda vorrebbe chiedere le dimissioni di Santanchè, Renzi no
Dalle parti di Italia viva la vedono così: sono ai ferri corti, difficile riavvicinarli, gli sherpa che ci provano finiscono bastonati. La vulgata che vuole Calenda in riavvicinamento al centrosinistra la considerano però inesistente: «Carlo ha l’elestaticità politica di un ferro da stiro, non andrà mai con i 5 Stelle e il Pd invece non li mollerà mai». E Renzi? Può andare a sinistra, che trova culturalmente più vicina. O anche a destra, dove però la scommessa sarebbe il cambio di leadership, l’azzoppamento di Giorgia Meloni, ora improponibile, ma il 2027 è lontano e mai dire mai.
Aria di sconcerto dalle parti di Azione, vedono Renzi un giorno ai funerali di Forlani, l’altro che sfreccia al timone di un piccolo motoscafo. Lo accusano di intelligenza con il nemico, non sopportano che si sfili quando c’è da infilzare la destra per i suoi scivoloni, e alla domanda se scommetterebbero sulla possibilità di una lista comune alle Europee, rispondono così: «Non abbiamo soldi da buttare». Ma ci sono pur sempre delle liste da fare ed è difficile rinunciare al centro per guardare, magari, a patti con il Pd.
Pragmatici quelli di Italia viva: se guardiamo all’umore di Matteo e Carlo le possibilità di una lista comune sono meno di zero. Ma alle elezioni europee chi non prende il 4% è fuori, e non si trovano candidati credibili pronti a infilarsi in una squadra perdente in partenza: «Ma se dobbiamo unirci non possiamo andare oltre novembre, se ci presentassimo con un progetto raffazzonato dell’ultimo minuto gli elettori ci tirerebbero i pomodori».