Il Messaggero, 12 luglio 2023
Il Camp Nou di Barcellona sarà demolito
Non di rado lungo l’Avinguda de Joan XXIII, tra le pieghe de La Maternitat i Sant Ramon, nel quartiere Les Corts, accadeva di essere accolti d’un tratto da una grande insegna di alluminio grigio su un fondo di legno. Benvinguts, invitava (en català, è naturale). E poi aggiungeva, ma più in piccolo: bienvenidos e welcome. Lo stemma, lì accanto, scioglieva i dubbi e restituiva al luogo un posto sulla mappa del mondo: inequivocabilmente si era arrivati allo stadio del Barcellona. Il Camp Nou era sempre una solennità: riposava placido e profumava di storia e prodigi, miti e leggende. Un monumento. Dentro, era un teatro toccato dalla maestà: commedia e tragedia si mescolavano ogni volta, regalando sfavillanti cammini da eroi a pochi; e discese verso gli inferi a tanti. Il suo urlo, l’eco di una falange spartana - centomila voci. Dal 1957 era stato il palcoscenico dei migliori calciatori del pianeta, oltre che lo scenario di esibizione della squadra blaugrana. Negli anni, specie i Novanta, era cresciuto, aveva conosciuto ristrutturazioni, perso i posti in piedi, vissuto un deciso ammodernamento lucente di vetri e acciaio. E il Barça, in campo, su quel campo, veniva restituito allo splendore da Messi e Iniesta, da Xavi e Guardiola. Ora, però, il quadro si è rovesciato. A brillare sotto il sole non è più il verde del prato, ma il braccio di una gru altissima, che tutto distrugge e nulla risparmia. Perché il Camp Nou, lo stadio che sostituì nel 57 il Camp de Les Corts e costò la lontanissima cifra di 288 milioni di pesetas, oggi è avviato verso la demolizione. Ogni giorno si sbriciola un poco del cemento color tortora, si rade via la serie di centomila seggiolini blu e granata dalle gradinate. La scritta gigante gialla «Més que un club», dipinta sulla tribuna opposta a quella delle televisioni: chi non la ricorda? Sradicata. Incredibile. Del campo non rimane che un quadrilatero di sabbia, adibito a deposito di detriti. E sono immagini potenti, per l’appassionato del calcio, capaci di rotolare al limite dello sconcertante e del commovente. Figurarsi per i tifosi del Barcellona, abituati ad abitare la propria cattedrale da devoti fedeli. «È la fine di un’era», mormorano sui social. Ed effettivamente impressionano le foto dell’esterno della struttura: che raccontano di mura sbrecciate, buchi ovunque, pilastri scoperti. Con il rispetto per le vicende di cronaca, assomiglia a uno stadio bombardato.
LA BELLA NOTIZIA
Invece. Invece il Camp Nou rinascerà. E questa è la bella notizia. I lavori si protrarranno ancora per 500 giorni un anno e quattro mesi abbondanti e la dirigenza catalana vorrebbe inaugurare il nuovo Camp Nou il 29 novembre del 2024, vale a dire nel giorno del 125esimo anniversario del club. Si chiamerà Spotify Camp Nou, dal momento che i diritti di denominazione sono stati ceduti per 300 milioni di euro a Spotify, la app della musica. Così, nell’arco della prossima stagione, il Barça giocherà le partite casalinghe allo stadio Olimpico di Montjuïc. E va annotato pure che il Barça ha scelto di convertire il prato del Camp Nou in diamanti ecosostenibili grazie a un accordo con la società Brilianto: l’erba sulla quale si è disputata la sfida contro il Maiorca il 28 maggio scorso, l’ultima andata in scena allo stadio, sarà carbonizzata e poi utilizzata per creare i brillanti.
BEARZOT
Certo, il Camp Nou non è stato il primo né sarà l’ultimo stadio demolito. Solo per navigare in Spagna, d’altronde, bisogna citare il Vicente Calderon di Madrid, smantellato nel 2020, e lo stadio di Sarrià proprio a Barcellona, abbattuto nel 1997 e divenuto famoso per esser stato la cornice del successo dell’Italia di Bearzot contro l’Argentina e il Brasile durante il Mondiale dell’82. Analogamente, a Londra, l’impianto del Tottenham, White Hart Lane, è stato demolito nel 2017, mentre Highbury, la storica casa dell’Arsenal, nel 2006 è stato in parte abbattuto e adattato a complesso residenziale. Per tacere del vecchio Wembley, quello con le due torri, polverizzato nel settembre del 2002, o dell’Ali Sami Yen di Istanbul, chiuso nel 2011. Per 62 anni, invece, ha ammirato e servito l’Ajax (anche di Cruijff e van Basten) il memorabile De Meer di Amsterdam, tristemente sfarinato nel 1998. E chissà cosa accadrà, un giorno, a San Siro. Di certo, adesso, un lembo della storia del Barcellona come il Camp Nou è scivolato via per tornare a splendere, presto, come un tempo. Dopotutto, come scrive Alessandro Baricco, «ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo».