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 2023  luglio 11 Martedì calendario

A 50 anni da sequestro Getty

“Scusa, hai 100 lire?”. Il cronista, avventore della Trattoria Beltramme di via della Croce, ai tavoli Fellini e i Rokes, fu sorpreso, nella notte di estate del 1973, dalla richiesta, allora comune per i “fricchettoni”, ragazzi in sdruciti jeans e camicie di garza, gonna a fiori e zoccoli per le donne. Aveva riconosciuto nell’adolescente dal giubbotto di agnello, John Paul Getty III, nipote del petroliere Jean Paul Getty, che la rivista Fortune stimava il più ricco americano, patrimonio che oggi varrebbe 8 miliardi di euro, morendo ne avrebbe lasciato 25.
Che ci faceva a mendicare “Cento lire”, con accanto la girlfriend Martine Schmidt, altrettanto malridotta? Il sedicenne Getty, ogni sera, da piazza di Spagna si trascinava a Santa Maria in Trastevere, fra canne, hashish, alcol, colonna sonora alla radio Lelio Luttazzi con Hit Parade, “Crocodile Rock” di Elton John, “Minuetto” di Mia Martini, “Il mio canto libero” di Battisti e il verso “In un mondo che non ci vuole più…” sarà fosca profezia per quei teenager.
John Paul Getty III pensava davvero che il mondo non lo volesse. Suo padre, John Paul Getty jr, dopo la guerra in Corea aveva chiesto un lavoro al padre, il fondatore della dinastia che non lo aveva mai visto per 12 anni, per vedersi spedito a una pompa di benzina in California. Finalmente aveva ottenuto da un fratello un ruolo da manager alla Getty Italia, divorziando dalla prima moglie Gail Harris, la mamma di John Paul, e sposando l’affascinante Talitha Pol, cara ai paparazzi e alla rivista Vogue. Tra Marrakech e Parigi la coppia si innamora dei beat, assume droghe, prima per chic, poi per dipendenza. L’11 luglio 1971 l’eroina stronca Talitha, Getty jr. entra ed esce dalle cliniche per disintossicarsi, Gail Harris insegue la vita mondana di Roma, insomma il ragazzetto cui il cronista regala una sonante moneta d’argento da 500 lire era ricco di eredità ma abbandonato. S’era iscritto alla scuola inglese St. George, dietro le ville dell’Olgiata, ma l’avevano cacciato per aver scritto sui muri, a lettere giganti, insulti all’Headmaster, il preside.
Qualche lira gli veniva da foto come modello, John Paul era bellissimo, un cherubino del Serpotta o Raffaello, boccoli dorati e lineamenti da efebo. A volte scherzava con Martine, “fingo un rapimento. In Italia ogni giorno scompare qualcuno, le gang chiedono il riscatto, mi nascondo, i miei pagano, viviamo felici”. Ormai ce ne siamo dimenticati, ma, come annotano i professori Carabellese e Zelano sulla “Rassegna Italiana di Criminologia”, tra il 1969 e il 1998 furono sequestrate in Italia 694 persone, con un giro di miliardi di lire di pagamenti. Ogni famiglia benestante manda i figli all’estero, si protegge con guardie del corpo. Anni di piombo paralleli a quelli della politica, coinvolgendo membri di casa Agnelli e artisti come De André e Dori Ghezzi, prede della ndrangheta calabrese, della malavita sarda, di gang di sbandati. Infine una leggeblocca i conti delle famiglie e la tragedia scema.
Il 10 luglio del 1973, mezzo secolo or sono, l’idea di John Paul Getty III si avvera, viene rapito a piazza Farnese, non però da amici pronti a ripagarlo, ma da una feroce ndrina della ndrangheta che chiede, in una serie di telefonate affannose, la cifra favolosa di 17 milioni di dollari, 112 milioni del 2023.
La gente, sulle spiagge, prevede un sontuoso pagamento, il nonno più ricco del mondo non lascerà morire in un canyon della Calabria il nipotino, mentre il padre langue in ospedale. Jean Paul Getty viene raggiunto dalla mamma di John Paul, Gail, che lo implora di pagare. La risposta che riceve è immortalata da John Pearson nel libro “Tutti i soldi del mondo” (Harper Collins): “Ho altri 13 nipoti. Se moltiplichi 17 milioni per 13 vedi di che si tratta”. Vi sembra crudele? Ricordate che il motto del vecchio Getty era “I poveri erediteranno la Terra dice il Vangelo, certo non i diritti di sfruttamento delle miniere”.
Nel suo buco fra le montagne calabresi, il ragazzo Getty non sta dapprima malissimo, i criminali lo trattano meglio possibile, ha una radiolina, aspetta. Col passare dei mesi il rischio di essere catturati terrorizza, l’eco mondiale del caso porta polizie a carabinieri a rastrellare ogni bosco, i rapitori si fanno feroci, finché la redazione del Messaggero, quotidiano romano allora leader dei diritti civili, riceve una busta che contiene una leggiadra ciocca di capelli e un macabro pezzo di orecchio, strappati a John Paul Getty III.
Difficile oggi ricordare come quell’Italia, dove lo statista Aldo Moro tesse la tela di alleanze, le Brigate Rosse si organizzano, Lotta Continua ha appena ucciso il commissario Calabresi e i fascisti dell’Msi terrorizzano Milano, reagisca alla notizia. Il regista Ridley Scott ha girato nel 2017 un film avvincente sulla vicenda, l’anno dopo c’è stata una fortunata serie tv, forse solo il caso di Farouk Kassam, rapito nel 1992 in Sardegna, emozionerà altrettanto.
Il decano Getty, come l’avaro Scrooge di Dickens, paga, ma giusto i 2,2 milioni che può dedurre dalle tasse secondo i fiscalisti di casa, fra cui quel Claus von Bulow, accusato ed assolto per l’assassinio della moglie. L’ultimo milione lo pagherà il papà di John Paul, a patto di versare al nonno l’usura del 4%.
Questa storia comincia e finisce nel petrolio, e il 15 dicembre 1973, vicino a un benzinaio di Lauria, provincia di Potenza, un passante riconosce, sporco, lacero, emaciato John Paul Getty III. Lo hanno imbottito di penicillina sciolta nel cognac, non si riprenderà mai più, fra sostanze, psicofarmaci e un ictus che lo lascia in sedia a rotelle. Stavolta è il padre a negargli le cure, pur atteggiandosi a benefattore, finché un magistrato, con una sentenza in cui gli intima di “vergognarsi”, gli impone di saldare le parcelle. Paralizzato, il putto delle albe di piazza Farnese muore a 54 anni, il 5 febbraio 2011, derelitto ostaggio di un destino che lo circonda di soldi non di amore.