Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  luglio 11 Martedì calendario

I numeri sull’acquacoltura

A metà degli anni ’80 prese corpo la moda degli allevamenti di cincillà. Nel giro di qualche mese molti parlavano dei cincillà e uscirono anche alcune (oggi inguardabili) pubblicità su come e perché allevare i cincillà.
 
Meno male che, nonostante la spinta iniziale, la moda finì presto, anzi da noi, in Italia, non attecchì più di tanto. Dai, allevare e poi uccidere 150 ai 300 cincillà per produrre un solo cappotto di pelliccia non valeva proprio la pena, tantomeno giustificava la sofferenza degli animali Ci sono gli abiti sintetici – dissero in tanti- e non dimentichiamoci della lana.
 
Per un allevamento che va (giustamente) via, ne arriva un altro. Sempre sul finire degli anni ’80, quando l’approvvigionamento ittico raggiunse il suo plateau si cominciò a parlare di acquacoltura.
 
Perché? Un po’ perché, appunto, la pesca eccessiva – che abbiamo praticato fino agli anni ’70, quando eravamo solo 4 miliardi di persone - ha portato al grave esaurimento degli stock ittici e a serie perturbazioni degli ecosistemi marini, un po’ perché, fatti i conti, ci si rese conto - e a ragione - che i cibi blu fossero più sostenibili.
 
Motivo?  Il più semplice possibile: sono animali a sangue freddo, non usano l’energia ottenuta dal loro cibo per mantenere i loro corpi caldi. Detta in breve: più carne per unità di mangime rispetto al bestiame terrestre a sangue caldo.
 
L’acquacoltura commerciale su larga scala è nata dalla necessità di continuare a fornire alimenti di base alle comunità dipendenti dai prodotti ittici in tutto il mondo, senza mettere in pericolo gli ecosistemi marini. Facendo uso della tecnologia in rapido progresso in questo settore, siamo stati in grado di padroneggiare l’arte di coltivare la vita acquatica in modo efficiente in un lasso di tempo relativamente breve.
 
Ebbene, se pur incomparabile con l’aumento del consumo di carne, l’interesse globale per i cibi blu è aumentato. Nel 2018, una persona in media ha consumato 15,1 kg di cibi blu all’anno, rispetto agli 11,5 kg dati per persona all’anno del 1998.
 
Tuttavia, delle suddette quantità quasi la metà non proviene affatto dal mare. Sono allevati in condizioni controllate e semi-naturali in vasche, stagni, canalette e sezioni chiuse dell’oceano - questo spiegherebbe la popolarità del salmone – di certo non pescato nel Mare del Nord – in molti supermercati.
 
Tutto è bene quello che finisce bene? In parte, perché ci sono un sacco di problemi anche sull’acquacoltura che qui vorremmo esaminare per trovare, ovviamente delle soluzioni.