Il Messaggero, 11 luglio 2023
Intervista a Massimo Ranieri
«Guai a chi non sogna. È l’unico modo che abbiamo per credere ancora nella vita, per alimentare la speranza». Massimo Ranieri ha una parola cara che non ha paura di ripetere all’infinito. Questa parola è "sogno". Tutti i sogni ancora in volo è il titolo che lega, non a caso, il secondo libro di memorie (Rizzoli), il programma televisivo, l’album e il tour dell’ultimo show. Ma "sogno" è anche il filo che ha tenuto insieme la sfera diurna e notturna della sua esistenza. In fondo, è la chiave del sorriso, di quel suo modo a noi tutti ben noto di dire, come Molly Bloom nel finale dell’Ulisse di Joyce, un risoluto, incontestabile, sì alla vita. Incontriamo il cantante, attore e showman napoletano in vista del suo concerto a Caracalla, atteso il 24 luglio. Questa volta il titolo è più sintetico, fulmineo: "Massimo Ranieri a Caracalla". Accanto a lui, la band storica (Seby Burgio, Giovanna Perna, Pierpaolo Ranieri, Luca Trolli, Arnaldo Vacca, Andrea Pistilli Tony Puja, Valentina Pinto, Max Filosi, Cristiana Polegri) e nuove energie (Stefano Indino, Luca Giustozzi, Fernando Brusco), uniti in un viaggio nel tempo.
Ranieri, cosa la lega così fortemente alla dimensione del sogno?
«La vita è sempre più dura e i giovani sembrano sognare sempre di meno. È per questo che, attraverso il canto e le parole, amo stare da quella parte».
Il mondo onirico orienta la sua vita da sveglio?
«Sono sicuro di sognare molto durante la notte, ma poi al mattino, il tempo di un caffè e dimentico quello che ho appena sognato. E mi dispiace. A volte sento il bisogno di raccontare i miei sogni a qualcuno. Anche quando sono brutti, inquietanti, i sogni vanno raccontati. È il modo migliore per smitizzarli».
Come tiene allenata la memoria?
«Se ho ancora una buona memoria, è tutto merito del teatro. Ricordo ancora ogni parola dei testi che ho recitato per Strehler, L’anima buona di Sezuan di Brecht e L’isola degli schiavi di Marivaux. Ma anche i testi di Moliere e di Pirandello».
Che impressione le fa cantare a Caracalla?
«Preferirei non parlarne, perché mi viene l’ansia solo a pensarci. Non ci sono ancora andato né ci voglio andare prima del 24. Mi farò raccontare tutto».
Cosa le mette l’ansia?
«Il luogo. La sua storia mi inibisce. Non ci sono stato né da turista né da cantante né da ospite. Quando i romani cominciano a parlarmene, io li fermo subito».
Il 24 luglio cosa mancherà e cosa invece si andrà ad aggiungere rispetto al suo repertorio abituale?
«Amplio un po’ l’orchestra, limitandomi però ad aggiungere dei fiati. Per quanto riguarda il repertorio, interpreto essenzialmente le canzoni dell’ultimo disco che dà anche il titolo allo show che porto in giro da sette mesi. Ma ci sono pure i classici: Perdere l’amore, La vestaglia».
Le capita mai di cantare "Rose rosse per te" o "Perdere l’amore?"
«Mio Dio, no!».
Cosa canta allora sotto la doccia?
«I miei idoli: i Beatles e Adriano Celentano. Il tuo bacio è come un rock è ancora tra le mie hit personali».
Quattordici milioni di dischi venduti in tutto il mondo, più di trenta album pubblicati a partire dal primo, registrato a soli 13 anni come Gianni Rock. Il successo crea dipendenza?
«Può provocare dipendenza, ma io vivo il mio lavoro come una missione. Mio fratello mi dice sempre: sul palcoscenico sei ineguagliabile, nella vita privata un disastro».
Quanti nipoti ha?
«22 nipoti, 23 pronipoti e 2 trinipoti. Vivono tutti a Napoli».
A proposito di Napoli, il 29 giugno è stato ospite di Tiziano Ferro allo stadio Maradona. Cosa vi lega?
«È il mio fratellino piccolo. Per me ha sempre 20 anni».
Dopo tanti anni di vita romana, che impressione le fa camminare per le strade di Napoli?
«Io sono figlio adottivo di Roma ma il mio pensiero va ogni giorno a Napoli».
È stato Maurizio Scaparro ad intuire che lei avrebbe potuto indossare la maschera di Pulcinella, quando le cucì addosso il Pulcinella scritto da Manlio Santanelli. Come ci stava dentro?
«La maschera di Pulcinella non la merita nessuno. Forse solo Eduardo poteva meritarla. Perché in quel caso si trattava di una maschera sulla maschera».
Sotto la guida registica di Scaparro, lei ha recitato anche testi di Viviani e Pirandello. Cosa le manca del suo amico e maestro (scomparso il 17 febbraio)?
«Maurizio è stato per me un padre, un fratello, un amico, oltre che il regista di sette bellissimi spettacoli. Quando avevo un dubbio su qualsiasi cosa, chiamavo sempre Maurizio. La stessa cosa faceva lui con me».
Il ruolo che non ha ancora fatto?
«Zio Vanja di Cechov. Fu Patroni Griffi a farmi capire la vicinanza tra l’anima russa e l’anima napoletana. E tra i personaggi di Cechov, sento di avere un appuntamento in sospeso con lui».