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 2023  luglio 10 Lunedì calendario

Intervista a Anna Mazzamauro

Una vita da signorina Silvani, con ironia. «Sono talmente innamorata di lei che la porto a teatro» racconta Anna Mazzamauro, che in autunno porterà lo spettacolo Come è ancora umano lei caro Fantozzi in giro per l’Italia. «È anche un omaggio per l’unico uomo che mi abbia veramente amato». Autoironica, travolgente, a 84 anni è piena di energia: «Il lavoro è la mia vita, pensare alla mia età, è una pugnalata. Nello spettacolo parlo del ragioniere, della Silvani e di me».
Come definirebbe la sua eroina?
«Atipica. La signorina Silvani ha detto a tutte le donne atipiche: siate convinte di fare innamorare un uomo, le ha incoraggiate. Fantozzi la amava. La Silvani è la mia dannazione e la mia felicità».
Come nasce?
«È stata inventata da Villaggio in scrittura, con il “rosso-sesso” dei suoi vestiti. Ho sviluppato il personaggio pensando a come era vestita mia madre, una donna molto intelligente. La vedevo vestita in maniera strana – gonna, camicetta di seta e maglione sportivo. Portava le scarpe basse, nella borsa teneva quelle col tacco».
Dove lavorava?
«Al ministero delle Finanze, la mattina guidava un esercito di ragazze. E si cambiava nella segreteria del ministro. Per la Silvani mi è venuta in mente la collanina rossa di mamma, i suoi orecchini, i tacchi».
La signorina Silvani non ha nome: mai pensato di dargliene uno?
«Chiedo a teatro: vi siete mai chiesti come si chiama? Bisognerebbe cercare un nome vintage, come un telefono a gettoni. Così viene fuori Genoveffa, Tecla – già meglio.
Nessuno mi restituirà il dolore della Silvani, considerata sempre mezza scema e mezza donna».
Avete qualcosa in comune?
«La sento vicina, perché abbiamo confidenza, e per quello che mi ha regalato grazie a Paolo Villaggio».
L’ha condizionata?
«Ha segnato tutta la mia carriera. La odio e la amo… La possibilità di considerare le donne stronze esiste, ce ne sono, specie nel nostro ambiente. La Silvani per me è una sorta di sorella brutta, o la bella di cui io sono la sorella brutta. C’è una confusione di stati d’animo».
Com’era Paolo Villaggio?
«Ironico, uno splendido compagno di viaggio. Si preoccupava quando Salce girava le nostre scene: “Luciano, hai ripreso bene Anna?”. Ma in tanti anni non siamo mai diventati amici. Mi spiegò: “Frequento solo attori ricchi e famosi”. Oggi gli avrei detto: “Ma vaff…”, allora, rispettosa, ho taciuto».
Le dispiaceva?
«Sì, soffrivo di questa mancanza diamicizia. Sembravamo due attori della commedia dell’arte, inventavamo… Era bello. Che poi alla fine sbagliavo perché passare le giornate insieme è amicizia. Ma io la intendevo in altro modo. Lo vedevo frequentare Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, forse soffrivo un po’ di invidia: perché loro sì e io no?».
È vero che all’inizio avrebbe dovuto interpretare la signora Pina?
«Quando Salce, con cui avevo già lavorato in teatro con Giorgio Albertazzi, tra le attrici bravine ma bruttarelle si ricordò di me, pensai: evvai, mi hanno chiamato ai fasti del cinema. E mi presentai cotonata, truccata, con le calze a rete. Aprì laporta: “Perdonami Anna, ma ti ricordavo più brutta”. Paolo risolse tutto, parlò con Luciano: “Guarda che è brutta”. Poi decise che dovevo fare l’oggetto del desiderio del ragioniere Ugo».
Alla fine è un personaggio che l’ha fatta amare per sempre, no?
«La gente mi chiede ancora: “La prego, mi dica che sono una merdaccia, grazie”. Meraviglioso. In fondo un attore è alla ricerca dell’amore. Mi siederei in platea con gli spettatori per vedere lo spettacolo. Ed è bellissimo che, non avendo più venti anni, riesca a ad avere questo rapporto col pubblico».
Quando ha deciso di fare l’attrice?
«Era il mio sogno da quando ero ragazzina. Di notte, recitavo di nascosto in bagno. In famiglia ho subito due forme diverse di opposizione: papà era un uomo di destra, diceva no e basta, facendomi perdere un sacco di tempo perché per lui un figlia che desiderasse recitare era in nuce una prostituta».
E sua madre?
«Lei, invece, l’ho capito negli anni, provava dolore per me per quello che avrei dovuto sopportare. Intuiva che per diventare un’attrice di successo, amata dal pubblico, avrei dovuto scalare le montagne. Cercava di dissuadermi. Mio padre, però, alla prima fotografia che usciva, diceva: “Quella è mia figlia. Ho amato moltomia madre – per la sua intelligenza e sensibilità – meno papà».
Nel libro “Nuda e cruda” difende la diversità. Che pensa dell’Italia governata dalla destra?
«Il concetto di libertà è contraddittorio. Per me vuol dire essere libere sempre, per altri amare chi vuoi, per altri vivere da soli.
Nonostante abbia cominciato quando non c’era tanta libertà di emergere, ho cercato di fare quello che volevo».
E ci è riuscita alla fine?
«Sì con fatica. Se fossi stata bellissima avrei fatta la velina, invece ho fatto l’università, ho rischiato la Cattolica ma sono andata alla Sapienza. Per me libertà ha significato proporre la propria intelligenza, che vuol dire anche confrontarsi con chi la pensa diversamente, che mi sembra sempre la cosa più importante.
Progetto un incontro della signorina Silvani che dice: “Ho incontrato un uomo diverso”, e il gay le risponde: “Non sono io che sono diverso, sono gli altri che sono troppo uguali”».