Corriere della Sera, 10 luglio 2023
Intervista a Paola Severini Melograni
Di lei l’ex ministro Renato Brunetta disse: «Ha il supermarket della sfiga». Per chiunque sarebbe stato uno stigma. Non per Paola Severini Melograni, giornalista e conduttrice televisiva. Nel 2016 costrinse la Rai a invitare a Sanremo il compianto Enzo Bosso, musicista affetto da una malattia neurodegenerativa. Fu premiata con uno share senza precedenti, 55 per cento, 13,5 milioni di teleutenti: «È vero, dai disabili ai detenuti, fino ai curdi, sono titolare dell’emporio delle disgrazie, frequentato da 5 milioni d’italiani. A Sanremo avemmo 10,5 milioni di spettatori anche con i Ladri di carrozzelle, che seguo da 38 anni. In tv non servono le fregnacce». Lo dice di ritorno da Pisa, dove alla Normale era accanto all’amica Paola Tricomi nel giorno del dottorato: «Vive attaccata a un tubo per respirare, riesce a muovere su un joystick solo tre dita della mano destra. Però il suo docufilm sul cielo, Per desiderio, ci mostra ciò che noi non vediamo».
La vedova dello storico Piero Melograni, partito dal Pci e approdato alla Camera con Forza Italia, s’invaghì dell’handicap a 14 anni: «M’innamorai perdutamente di Antonio Guidi, futuro ministro della Famiglia. A 16 scappai di casa per stare con lui. A 17 lo sposai con la dispensa di papa Paolo VI. Dopo 9 mesi nacque Valentino, il primo dei nostri tre figli».
Guidi soffre di tetraplegia spastica.
«Determinata da un’asfissia a causa del parto prolungato. Era bellissimo. Aveva 12 anni più di me, si stava laureando in medicina. Non mi sono mai accorta della disabilità di nessuno. È un dono».
Però poi avete divorziato.
«Mi lasciò lui, nel 1997, dopo 24 anni di matrimonio. Si era innamorato di una donna più giovane del nostro primo figlio. Fu un dolore atroce, volevo morire».
E oggi?
«Ho rimosso. Mi ricordo solo le cose belle. Melograni, non credente, diceva: “Ti veglia l’angelo della dimenticanza”».
Come conobbe lo scrittore? C’erano 26 anni di differenza tra di voi.
«Tanti. Io stavo con un uomo molto più giovane e molto più figo di lui. Ma Piero era meglio di testa. Lo conobbi nel 1997, stava già in Parlamento. Aveva appena perso la compagna, l’attrice Margherita Guzzinati, che gli lasciò da accudire Nicolò, un ragazzo disabile, nato da un precedente matrimonio. Mi telefonò: “Non so come fare. Lei è un’esperta in materia, me l’ha detto Guidi. Può aiutarmi?”. La sua bontà mi colpì. Fece da padre ai miei figli più piccoli, Valerio e Diletta, che avevano 13 e 11 anni. Andava a scuola a parlare con i loro professori».
Fu un colpo di fulmine?
«Era assediato da donne meravigliose. Dovetti conquistarlo. Lo divertivo. Mi si piazzò in casa. Avevamo a cena Antonio Ghirelli, Raffaele La Capria, Arnoldo Foà. Secondo Piero ero la miglior cuoca di Roma. “Mai conosciuto tanti preti come da quando vivo con te”, mi canzonava. Ah, se solo avessi registrato i suoi dialoghi con il cardinale George Cottier!».
Lei crede negli angeli.
«Sì. Ho fondato l’agenzia Angelipress. Da 23 anni fornisce a Camera e Senato notizie su 68 categorie di svantaggiati».
Per esempio?
«I carcerati. Lei lo sa che in cella per tagliare l’aglio da mettere nel sugo devono usare la lametta da barba? Di loro scrive Sergio Cusani, finito in prigione per la tangente Enimont».
È la fede che glielo fa fare?
«Sono stata radicale e socialista, resto cattolica. Ho visto tanti miracoli e biografato tanti santi, tranne Chiara Lubich e madre Teresa di Calcutta, a causa della loro ritrosia. Ho per amici, o ho avuto, Andrea Riccardi, don Oreste Benzi, Ernesto Olivero, don Pierino Gelmini. Sono fra le poche donne che frequentavano don Luigi Maria Verzé. “Paolo VI con me fu durissimo, una pietra”, si lamentava».
Quindi lei parla con l’angelo custode?
«Parlo con lo spirito della mia nonna materna, Giuseppina. Il padre, anarchico antifascista, fu sbattuto in galera. La madre finì in manicomio. Per sfamare i due fratellini, faceva la sguattera nel Circolo cittadino di Treia. Ha idea di che significhi per una quattordicenne stupenda?».
Posso immaginarlo.
«I signorotti della buona società maceratese la insidiavano. Per sottrarsi, raggiunse Roma a piedi, sette giorni di cammino. Fu assunta come sarta dalle sorelle Fontana. Dormiva in laboratorio sotto il tavolo. Con il ferro da stiro riscaldava un panno e lo usava come coperta. Cucì l’abito che Linda Christian indossava il giorno delle nozze con Tyrone Power, il padre di Romina. M’insegnò a vivere. Prima di tagliare un vestito, si faceva il segno della croce. Mi viene un groppo in gola: Gianni Versace mi raccontò che sua madre compiva lo stesso gesto».
Siamo tornati a parlare della fede.
«Conquistò Melograni. Passammo la sua ultima notte abbracciati a letto. Nel testamento chiese il funerale religioso: “Le esequie laiche sono tristi e lagnose”. Venne celebrato nella chiesa di San Giuseppe alla Lungara, vicino al carcere di Regina Coeli, addobbata con melograni. Fu l’unica volta in cui durante una messa si udì “Tutto il mondo è burla”, dal Falstaff di Verdi. Lo pretese lui. Di lì a poco morì anche Nicolò, il figlio adottivo».
Dove riposa Melograni?
«Scelse la cremazione. “Quando hai voglia di stare con me, vieni a Capri”, scrisse nelle sue ultime volontà. Ho sparso le ceneri davanti alla Grotta Azzurra».
Suo marito come ricordava la stagione dei «professori», allorché con Antonio Martino, Marcello Pera, Lucio Colletti, Saverio Vertone e Giuliano Urbani fu arruolato da Silvio Berlusconi?
«Il Cavaliere gli era simpatico. Ma se ne pentì. “Ho solo sprecato tempo, avrei potuto scrivere libri”, si dispiaceva».
L’ho sentita affermare che alla politica manca l’empatia.
«Più ancora il coraggio. Quello maturato nel profondo dell’anima, che apprezzavo in Giancarlo Pajetta e in Francesco Cossiga. L’ex capo dello Stato il giorno prima del matrimonio, a mezzanotte, telefonò a Melograni: “Piero, sei sicuro? Perché altrimenti domani la sposo io”».
Dopo il divorzio da Guidi, che fece?
Le seconde nozze con il saggista
che dal Pci approdò a Forza Italia
«Il Cavaliere gli era simpatico, ma se ne pentì». Le ceneri a Capri
«Per non finire dallo psicoanalista, cominciai a confessare le mogli dei personaggi famosi: Livia Andreotti, Carla Pertini, Clio Napolitano, Maria Pia Fanfani, Flavia Prodi, Anna Maria De Mita, Linda D’Alema, Giulia Violante, Lella Bertinotti. Si fidavano di me».
La coppia più affiatata che ha visto?
«I Prodi. Due persone vere».
Oggi qual è il suo principale impegno?
«O anche no, programma sulla disabilità positiva, in onda da tre anni e mezzo la domenica su Rai 3 alle 10.15, replicato alle 1.15 di notte il lunedì, con ascolti incredibili per quell’orario, intorno all’8 per cento. Fu un’idea di Carlo Freccero».
Pare che Mario Draghi nel 2021 la volesse alla presidenza della Rai.
«Scrissero che piacevo a Beppe Grillo, a Giancarlo Giorgetti, a Enrico Letta. Beh, a Letta proprio no, non mi ha mai ricevuto. A Nicola Zingaretti sì. Giorgia Meloni fu impagabile: “Toccherebbe a noi”, non avevano neppure un consigliere, “ma tu sei brava e onesta”. Quindi anche Fratelli d’Italia era d’accordo. Peccato, sarebbe diventata una Rai di servizio sociale».
Come entrò nel mondo della tv?
«Dal 1973 al 1987 abitai a San Benedetto del Tronto. A 18 anni mi presero a Telecavo. Facevo tutto: riprese, montaggio, notiziari. Diventai giornalista così».
Avrà avuto un mentore, nel mestiere.
«Due: Antonio Ghirelli, che mi aprì le porte dell’Avanti!, e Sergio Zavoli, che mi fece selezionare dalla Rai per Punto d’incontro, programma di Radio 1 per i ciechi. E poi monsignor Ersilio Tonini, che per me è stato un secondo padre».
Lei li chiama ciechi?
«Dovrei dire non vedenti? Ma sono ciechi! Il politically correct è mediamente una cazzata. Il mio amico Daniele Cassioli, atleta paralimpico privo di vista dalla nascita, vuole essere chiamato cieco».
Si è occupata anche di matti.
«Guidi mi fece conoscere Franco Basaglia. Più che uno psichiatra, un principe. Giravo i manicomi con Domenico Modugno, senatore radicale. A quel tempo usavano le cinghie per legare ai letti anche le pazienti con le mestruazioni».
Curava l’immagine in Europa di Gary Hart, ex candidato alla Casa Bianca.
«Fu dopo lo scandalo dell’amante Donna Rice, che lo costrinse a ritirarsi dalle presidenziali. Eppure non so l’inglese».
Bel guaio.
«Giulio Andreotti era fermo al latino. Mi consolò: “Paola, non preoccuparti. A parlare le lingue sono solo i concierge».
A che ora si alza dal letto?
«Alle 5.30. La prima telefonata è alla mia amica Marcelle Padovani, vedova di Bruno Trentin, il segretario della Cgil».
Sembra in preda alla febbre del fare.
«Ho paura di avere poco tempo. A 67 anni la genetica mi rema contro: mia madre morì a 46, mio padre a 52, mia nonna a 60. Per me ogni giorno è proprio l’ultimo. Gioisco per qualunque cosa».
Non ha la fobia dei capelli bianchi.
«Ho smesso di tingerli nel 2010, quando nacque Angelo Flavio, il primo nipotino. Dal parrucchiere perdevo tempo. È anche un modo per comunicare».
In che senso?
«La chioma candida tranquillizza le mamme che hanno i figli storti. Devono sapere come sono davvero: imperfetta».
Che cosa la commuove?
«“Vissi d’arte” dalla Tosca di Puccini: “Nell’ora del dolore, perché, perché Signore, perché me ne rimuneri così?”».
C’è una figura per lei indimenticabile?
«Mario Tommasini, operaio del gas, assessore provinciale del Pci a Parma. Chiuse il manicomio di Colorno. Quando Enrico Berlinguer arrivava da quelle parti, diceva: “Non mi fermo nelle sezioni polverose. Vado da Tommasini”».