Domenicale, 9 luglio 2023
Sono i batteri ad aver plasmato il nostro mondo
Per 400mila anni la specie umana dei Neanderthaliani era presente in tutta l’Eurasia. Circa 50mila anni orsono arrivò dall’Africa la specie Homo sapiens. Meno di 10mila anni dopo i Neanderthaliani erano scomparsi, tranne alcuni minuscoli resti ancor oggi rintracciabili nei genomi dell’Homo sapiens. Le due specie s’erano incrociate. Le cause della scomparsa dei Neanderthaliani sono controverse. Resti di loro crani mostrano che l’osso frontale, più inclinato verso l’indietro di quello dell’Homo sapiens, lasciava meno spazio al lobo cerebrale prefrontale, che è l’area dell’autocoscienza. L’Homo sapiens ha aree cerebrali frontali più voluminose dei Neanderthaliani, e quindi potrebbe essere stato intellettualmente più sviluppato e miglior combattente. Ma ciò non spiega l’eliminazione di una specie in un tempo relativamente breve. Gli scimpanzé, ad esempio, con i quali l’Homo sapiens condivide il 97% del genoma, sono ancora presenti e certamente intellettualmente meno sviluppati dei Neanderthaliani.
Il sociologo dell’Università di Londra Jonathan Kennedy, nel suo magistrale studio Pathogenesi, sostiene che la dimensione del cervello, e la verosimile maggior intelligenza dell’Homo sapiens non siano sufficienti per spiegare l’eliminazione dei Neanderthaliani. L’Homo sapiens s’era sviluppato in Africa a ridosso dell’equatore a contatto con molte specie animali e con moltissimi microrganismi. Essi l’avevano reso immune a microrganismi fatali per chi non aveva quella protezione.
Fu, verosimilmente, il caso dei Neanderthaliani: l’Homo prevalse grazie ad un sistema immunitario diversificato. Un’analoga, triste esperienza, si ripeté millenni dopo nell’America centromeridionale con l’arrivo dei colonizzatori spagnoli e portoghesi e nell’America settentrionale invasa dagli anglosassoni.
Le popolazioni indigene non sparirono, ma furono decimate, sia dalla violenza dei colonizzatori che dai molti microbi da loro importati, contro i quali erano indifese. Sono alcuni degli esempi, sui quali Kennedy si sofferma, di come i «germs», come li chiama, «fanno la storia» in molte circostanze altrettanto e spesso più incisivamente dell’uomo. Le pagine sulla sconfitta di Annibale, sul crollo dell’Impero Romano, sulle pandemie medievali, sulle stragi della peste del XIV e XVII secolo, sono riuscite pagine di storia e di esempi di come le malattie l’abbiano formata. Molti gli eventi in cui l’Homo sapiens facilita l’azione dei germi contro sé stesso.
Kennedy ricorda gli articoli, famosi e molto discussi negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, del biogeografo californiano Jared Diamond, che, richiamandosi a Jean-Jacques Rousseau, sostenne che il maggior errore commesso dall’uomo è di aver abbandonato il nomadismo per gl’insediamenti agricoli. L’avvento dell’agricoltura è di regola considerato un progresso epocale del benessere: maggiori comodità, migliore nutrizione, allungamento della vita organizzata in famiglie, e, alla lunga dei secoli, progresso della civiltà. Diamond sostiene che questi vantaggi furono compensati dall’insorgere, nelle comunità strutturate, di gerarchie, diseguaglianze, dispotismo e lavoro sfibrante.
La prima conseguenza dell’organizzazione agricola fu l’aumento della popolazione, che si organizzò prima in modesti insediamenti e poi in Stati in continua lotta fra loro. Conseguenza negativa delle città fu la facilitazione dei contagi, sia per la popolazione ammassata in spazi ristretti, sia per i grandi depositi di cereali che attiravano topi fautori di contagi orrendi come la peste.
Kennedy riporta, fra gli esempi, la peste d’Atene durante i 27 anni della guerra del Peloponneso descritta da Tucidide. Per sottrarsi alle incursioni degli Spartani, la popolazione rurale dell’Attica si rifugiò fra le mura d’Atene, dove la popolazione quadruplicò. Fra il 430 e il 426 a.C. la città fu colpita da ondate di una «peste”»(così si chiamavano le malattie epidemiche), che uccisero un quarto della popolazione, mentre gli Spartani, che vivevano in piccole comunità, rimasero pressoché indenni. L’impetuoso sviluppo economico nel XIX secolo non comportò sempre solo benessere e salute della popolazione. Esempio Amburgo, città di grande sviluppo, dove nel 1892 in sei settimane morirono 10mila persone di colera, importato da russi che, dal porto tedesco, intendevano raggiungere gli Stati Uniti.
Kennedy non ricorda la spaventosa pandemia della cosiddetta influenza spagnola, che, fra il 1918 e il 1921, uccise nel mondo circa cento milioni di persone. Non se conosceva la causa e si temette la fine della specie Homo: la malattia si spense spontaneamente a partire dal 1921, verosimilmente per variazioni genetiche del virus. Nel 1980 si considerò sradicato il vaiolo, una malattia che solo nel secolo scorso aveva ucciso 300 milioni di persone. La soddisfazione fu presto attenuata: nel 1976, nel Congo, comparve la terribile malattia virale Ebola, nel 1980 la HIV-AIDS, poi la SARS e la Zika. La recente pandemia del virus con altissima frequenza di mutazioni Covid-19 ha provocato nel mondo circa 20 milioni di morti di tutte le età, nonostante la relativamente rapida disponibilità di vaccini: il contagio è stato verosimilmente facilitato dalle enormi dimensioni che in tutti i continenti hanno raggiunto molte città.
Kennedy ammonisce circa l’enorme pericolo, di cui poco si parla, della resistenza batterica agli antibiotici. Più di un milione e 200mila persone, oltre un quinto dei quali bambini, muoiono ogni anno nel mondo per infezioni dalle quali si guariva prima che i batteri diventassero resistenti agli antibiotici. Gli ammonimenti circa l’uso demenziale degli antibiotici, impiegati anche contro il raffreddore, e nell’allevamento di animali per farli crescere sani e corpulenti, non suscitano alcune preoccupazioni. La resistenza batterica potrebbe portare, fra il 2040 e il 2050 nella condizione dell’era preantibiotica. Potrebbe essere la vittoria dei microrganismi, che da miliardi di anni dominano la natura, sull’invasore Homo che non sa combatterli.
l’eta d’oro dei batteri, minaccia dell’umanitàNon solo Coronavirus. La sparizione dei Neanderthaliani? Colpa di microrganismi per loro fatali. Jonathan Kennedy ricostruisce la storia della specie attraverso le epidemie di malattie infettiveArnaldo BeniniL’orribile flagello. Il «Trattato di vaccinazione sul giavardo e vajuolo pecorino del dottor Luigi Sacco» è stato esposto alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano nell’ambito della mostra «Manzoni, 1873-2023. La peste “orribile flagello” tra vivere e scrivere» Per 400mila anni la specie umana dei Neanderthaliani era presente in tutta l’Eurasia. Circa 50mila anni orsono arrivò dall’Africa la specie Homo sapiens. Meno di 10mila anni dopo i Neanderthaliani erano scomparsi, tranne alcuni minuscoli resti ancor oggi rintracciabili nei genomi dell’Homo sapiens. Le due specie s’erano incrociate. Le cause della scomparsa dei Neanderthaliani sono controverse. Resti di loro crani mostrano che l’osso frontale, più inclinato verso l’indietro di quello dell’Homo sapiens, lasciava meno spazio al lobo cerebrale prefrontale, che è l’area dell’autocoscienza. L’Homo sapiens ha aree cerebrali frontali più voluminose dei Neanderthaliani, e quindi potrebbe essere stato intellettualmente più sviluppato e miglior combattente. Ma ciò non spiega l’eliminazione di una specie in un tempo relativamente breve. Gli scimpanzé, ad esempio, con i quali l’Homo sapiens condivide il 97% del genoma, sono ancora presenti e certamente intellettualmente meno sviluppati dei Neanderthaliani.
Il sociologo dell’Università di Londra Jonathan Kennedy, nel suo magistrale studio Pathogenesi, sostiene che la dimensione del cervello, e la verosimile maggior intelligenza dell’Homo sapiens non siano sufficienti per spiegare l’eliminazione dei Neanderthaliani. L’Homo sapiens s’era sviluppato in Africa a ridosso dell’equatore a contatto con molte specie animali e con moltissimi microrganismi. Essi l’avevano reso immune a microrganismi fatali per chi non aveva quella protezione.
Fu, verosimilmente, il caso dei Neanderthaliani: l’Homo prevalse grazie ad un sistema immunitario diversificato. Un’analoga, triste esperienza, si ripeté millenni dopo nell’America centromeridionale con l’arrivo dei colonizzatori spagnoli e portoghesi e nell’America settentrionale invasa dagli anglosassoni.
Le popolazioni indigene non sparirono, ma furono decimate, sia dalla violenza dei colonizzatori che dai molti microbi da loro importati, contro i quali erano indifese. Sono alcuni degli esempi, sui quali Kennedy si sofferma, di come i «germs», come li chiama, «fanno la storia» in molte circostanze altrettanto e spesso più incisivamente dell’uomo. Le pagine sulla sconfitta di Annibale, sul crollo dell’Impero Romano, sulle pandemie medievali, sulle stragi della peste del XIV e XVII secolo, sono riuscite pagine di storia e di esempi di come le malattie l’abbiano formata. Molti gli eventi in cui l’Homo sapiens facilita l’azione dei germi contro sé stesso.
Kennedy ricorda gli articoli, famosi e molto discussi negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, del biogeografo californiano Jared Diamond, che, richiamandosi a Jean-Jacques Rousseau, sostenne che il maggior errore commesso dall’uomo è di aver abbandonato il nomadismo per gl’insediamenti agricoli. L’avvento dell’agricoltura è di regola considerato un progresso epocale del benessere: maggiori comodità, migliore nutrizione, allungamento della vita organizzata in famiglie, e, alla lunga dei secoli, progresso della civiltà. Diamond sostiene che questi vantaggi furono compensati dall’insorgere, nelle comunità strutturate, di gerarchie, diseguaglianze, dispotismo e lavoro sfibrante.
La prima conseguenza dell’organizzazione agricola fu l’aumento della popolazione, che si organizzò prima in modesti insediamenti e poi in Stati in continua lotta fra loro. Conseguenza negativa delle città fu la facilitazione dei contagi, sia per la popolazione ammassata in spazi ristretti, sia per i grandi depositi di cereali che attiravano topi fautori di contagi orrendi come la peste.
Kennedy riporta, fra gli esempi, la peste d’Atene durante i 27 anni della guerra del Peloponneso descritta da Tucidide. Per sottrarsi alle incursioni degli Spartani, la popolazione rurale dell’Attica si rifugiò fra le mura d’Atene, dove la popolazione quadruplicò. Fra il 430 e il 426 a.C. la città fu colpita da ondate di una «peste”»(così si chiamavano le malattie epidemiche), che uccisero un quarto della popolazione, mentre gli Spartani, che vivevano in piccole comunità, rimasero pressoché indenni. L’impetuoso sviluppo economico nel XIX secolo non comportò sempre solo benessere e salute della popolazione. Esempio Amburgo, città di grande sviluppo, dove nel 1892 in sei settimane morirono 10mila persone di colera, importato da russi che, dal porto tedesco, intendevano raggiungere gli Stati Uniti.
Kennedy non ricorda la spaventosa pandemia della cosiddetta influenza spagnola, che, fra il 1918 e il 1921, uccise nel mondo circa cento milioni di persone. Non se conosceva la causa e si temette la fine della specie Homo: la malattia si spense spontaneamente a partire dal 1921, verosimilmente per variazioni genetiche del virus. Nel 1980 si considerò sradicato il vaiolo, una malattia che solo nel secolo scorso aveva ucciso 300 milioni di persone. La soddisfazione fu presto attenuata: nel 1976, nel Congo, comparve la terribile malattia virale Ebola, nel 1980 la HIV-AIDS, poi la SARS e la Zika. La recente pandemia del virus con altissima frequenza di mutazioni Covid-19 ha provocato nel mondo circa 20 milioni di morti di tutte le età, nonostante la relativamente rapida disponibilità di vaccini: il contagio è stato verosimilmente facilitato dalle enormi dimensioni che in tutti i continenti hanno raggiunto molte città.
Kennedy ammonisce circa l’enorme pericolo, di cui poco si parla, della resistenza batterica agli antibiotici. Più di un milione e 200mila persone, oltre un quinto dei quali bambini, muoiono ogni anno nel mondo per infezioni dalle quali si guariva prima che i batteri diventassero resistenti agli antibiotici. Gli ammonimenti circa l’uso demenziale degli antibiotici, impiegati anche contro il raffreddore, e nell’allevamento di animali per farli crescere sani e corpulenti, non suscitano alcune preoccupazioni. La resistenza batterica potrebbe portare, fra il 2040 e il 2050 nella condizione dell’era preantibiotica. Potrebbe essere la vittoria dei microrganismi, che da miliardi di anni dominano la natura, sull’invasore Homo che non sa combatterli.
ajb@bluewin.ch
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Jonathan Kennedy
Pathogenesis.