Corriere della Sera, 9 luglio 2023
Intervista a Ute Lemper
La musica di Ute Lemper si intreccia in modo inestricabile agli eventi storici di cui è stata testimone: è lei a ritenerlo necessario, convinta che il suo ruolo di artista serva a non dimenticare. A 60 anni compiuti, lo charme delle grandi dive di una volta, ma i ragionamenti ben piantati nel presente, la cantante e attrice tedesca porta in Italia il suo Time traveler, spettacolo con cui arriva al Teatro Olimpico di Vicenza il 16 luglio (ospite della Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi) per poi spostarsi a L’Aquila, Lamezia Terme e Bari.
Che viaggio nel tempo porta sul palco?
«Accompagno il pubblico attraverso la mia vita e la musica che mi ha ispirato, da Kurt Weill a Brecht, dal repertorio ebraico a Marlene Dietrich fino ad alcune novità».
Se guarda indietro cosa vede?
«Ho appena festeggiato un compleanno importante, ormai ragiono di decennio in decennio e ciascuno ha un’atmosfera diversa dall’altro. Per noi tedeschi il passato nazista è un tema enorme con cui avere a che fare. Poi con la Stasi e la Ddr sono arrivati nuovi colpevoli e nuove vittime. Ogni decennio porta del progresso, ma dal 2000 in poi quello tecnologico è stato travolgente. Mi sento così confusa e anche preoccupata per i prossimi 20 anni».
Com’è stato vivere a Berlino negli anni 80?
«Ci sono andata nell’84, dopo aver studiato in Austria, e mi ha dato uno scossone. Non era bello ma era molto reale: il muro era vero, lo vedevamo tutti i giorni. Lì ho scoperto i miei miti musicali e lì, a 20 anni, mi sono sentita determinata a essere un’artista politica. Ad affrontare la rabbia e il senso di colpa per una storia così orribile. Ho deciso che sarebbe stata sempre mia responsabilità ed è un dovere anche oggi, visto poi il potere che sta prendendo la destra, con gli stessi slogan di un tempo. In Germania, dopo quel che è successo, dovrebbe essere illegale avere un partito di destra».
Compiere 60 anni che effetto le ha fatto?
«Non mi sento 60 anni, però guardandomi allo specchio mi accorgo che sì, ce li ho. Il tempo ha assunto un’importanza diversa, non mi sembra più lineare, ma verticale, come se tutto quello che è dietro fosse ancora con me».
Invecchiare è più difficile per una donna?
«Grazie al cielo non per quello che faccio io, anzi con l’età si migliora perché hai un maggior bagaglio di vita che ti porti anche sul palco. Certo, ormai non posso più ballare e viaggiare mi stanca, ma posso cantare. Nei prossimi 10 anni immagino che la mia voce sarà diversa, ma ci si può adattare all’età. In generale, però, certo che noi donne facciamo più fatica ed è ancora molto ingiusto: ci viene richiesta una bellezza che dagli uomini non si pretende. Per fortuna siamo sulla buona strada e stiamo provando a non idealizzare più lo stereotipo di donna giovane e magra».
E poi c’è da conciliare famiglia e lavoro: com’è andata per lei che ha quattro figli?
«Trovare un equilibrio, essendo un’artista che viaggia e che lavora la sera, è stato difficile e mi ha causato tanti dolori e conflitti. Entrambi i mondi ne hanno sofferto e sono stati compromessi. Non ho accettato lavori che avrei voluto fare e poi, quando lavoravo, mi mancavano i miei figli. Però l’ultimo capitolo della mia nuova autobiografia l’ha scritto mia figlia di 25 anni, la maggiore: dice che ho plasmato la sua idea di donna emancipata che lavora».
Sul palco porta anche Marlene Dietrich, con cui ebbe una lunga conversazione telefonica nel 1988. Che affinità sente?
«Entrambe abbiamo una storia tedesca e ora sono io a raccontare la sua ai giovani. Era una donna del futuro, così avanti rispetto al suo tempo. Ed è stata rifiutata dal suo Paese: voleva tornarci dopo gli anni 60 ed è stata additata come traditrice. Non dimenticherò mai la sua malinconia e il suo dolore, è stata respinta fino alla morte ed è morta mentre io facevo le prove per essere Lola a teatro nel suo The Blue Angel: un cerchio che si chiude. In Germania è tornata dentro una bara, e io ero lì al suo funerale. Ancora non le avevano chiesto scusa».
Nel 1991 è stata al Festival di Sanremo, cosa ricorda?
«Ho cantato il brano di Enzo Jannacci e lo ricordo come uno degli artisti più intelligenti ed eleganti che abbia mai incontrato. Di solito gli artisti sono intuitivi più che accademici, ma lui, che era anche un medico, era entrambe le cose».