Corriere della Sera, 9 luglio 2023
Intervista a Federica Cappelletti
La valigia sul letto è quella di un lungo viaggio. Insieme a Maria Vittoria e Sofia Elena, le figlie avute da Paolo Rossi (rose rosse e una dedica a suo nome ad ogni compleanno delle piccole è la disposizione lasciata da Pablito nel testamento), Federica Cappelletti sta per decollare verso Australia e Nuova Zelanda, sedi del Mondiale di calcio donne al via il 20 luglio. Nel trolley, oltre a un ricco campionario di gadget per tifare Italia («Con le bimbe abbiamo fatto shopping: bandiere, felpe, tutto ciò di tricolore che ci servirà per sostenere la Nazionale»), il nuovo ruolo istituzionale di Federica, eletta con voto unanime di tutte le società presidente della Divisione serie A femminile, l’organo della Figc che gestisce il campionato professionistico italiano.
Quanto ha dovuto insistere Gabriele Gravina, il numero uno della Federcalcio?
«Per niente: è mia l’idea di candidarmi, amplificare il movimento femminile mi intrigava già da un po’. Il calcio è stato il pane quotidiano mio e di Paolo, che aveva una visione ampia: seguiva la Nazionale maschile, certo, ma anche i giovani e le ragazze. I valori dello sport e il concetto di squadra sono l’eredità di mio marito che porterò con me».
Perché proprio lei, Federica?
«Per la determinazione nel rialzarmi subito dopo un dolore così grande, forse, nel tenere alto il nome di Paolo Rossi con la Fondazione, nel voler crescere due bambine. Non ambivo a ricoprire incarichi, ambisco a fare le cose».
Il professionismo delle ragazze del calcio va consolidato. Come?
«Con un’autonomia sostenibile della Serie A, il coinvolgimento dei club, la piena applicazione dell’apprendistato (riconosciuto per legge nel 2021), il riconoscimento da parte del Governo dell’avviamento al professionismo (che prevede sgravi fiscali per i contratti alle giovani atlete), la crescita dei vivai, una maggiore visibilità e, quindi, introiti più alti da distribuire alle società. La prossima sarà una stagione di passaggio importante: ci aspetta un lavoro enorme».
Al prossimo campionato mancano ancora un title sponsor e una tv che trasmetta le partite.
«Saremo presto in grado di comunicare novità».
Roberto Baggio dice che le calciatrici gli piacciono perché le donne hanno passione e carattere. Cosa appassionava Paolo Rossi?
«La psicologia delle ragazze, che affascina anche me, la predisposizione al lavoro, la ferrea volontà e la capacità di lavorare in gruppo. A Paolo tornava in mente il gioco di squadra dell’Italia di Bearzot, che permise a quel collettivo di conquistare il Mondiale ’82. Né simulazioni né perdite di tempo: le donne vanno in campo e giocano».
Dei paragoni con gli uomini, però, sembra impossibile sbarazzarsi. Eppure nessuna calciatrice si è mai sognata di dire che pretende i guadagni dei colleghi maschi.
«In Italia è una questione culturale. Il calcio nasce nell’800, come gioco maschile; le donne arrivano negli anni 30 del ‘900, a Milano. Lo sviluppo del calcio femminile è più lento e faticoso: la prima forte resistenza è accettare che la donna indossi i pantaloncini. Nel 2023, io credo che siamo pronti ad andare oltre. La svolta non è paragonare ma collaborare: perché i milioni di tifosi del calcio maschile non possono sostenere quello femminile?».
A proposito di paragoni: l’Italia di Milena Bertolini al Mondiale c’è, a differenza di quella di Mancini.
«Serve equilibrio, il Mondiale va affrontato con serenità. Il capocannoniere dell’82, Paolo, non arrivò certo in Spagna da messia né quell’Italia partì favorita. Sappiamo come è andata a finire. Il calcio rappresenta sempre una grande incognita: nulla è scontato».
Come si può rendere più popolare il campionato delle donne, che nonostante il professionismo è rimasto nella sua nicchia?
«La comunicazione è fondamentale. Vorrei portare il nostro calcio fuori dai confini nazionali, trasformare le partite di campionato in piccoli eventi, allargare il bacino d’utenza».
I campioni del mondo ’82 potrebbero darle una mano.
«Hanno riempito di congratulazioni per la mia elezione la chat che condividevano con Paolo. Il primo è stato Cabrini, che ha allenato la Nazionale donne, poi a ruota gli altri: Tardelli, Altobelli, Conti, Antognoni, tutti. Se hai bisogno ci saremo, hanno scritto. Mi ha fatto tanto piacere: l’Italia dell’82, in fondo, è una famiglia. Ecco, vorrei coinvolgerli, portarli allo stadio a vedere le donne. Da quando non c’è più Paolo, non mi hanno lasciata sola un attimo».
Non avverte in loro scetticismo nei confronti delle ragazze?
«Né prevenzione né scetticismo. Anzi. Mi auguro di potermi confrontare spesso con loro, durante il campionato».
Le azzurre che nel 2019 arrivarono a sorpresa ai quarti del Mondiale sono diventate un modello di riferimento per le bambine italiane appassionate di calcio. Lei, come dirigente, a chi si rifà?
«Più che ispirarmi a delle icone, ho deciso di fare un procedimento inverso. Scenderò in campo in prima persona, viaggerò per andare a conoscere club e ragazze, studierò la storia del nostro calcio femminile. Non sarò un presidente da scrivania. Ascoltare e osservare saranno il mio mantra: solo conoscendo le cose dall’interno, si possono cambiare».
Oltre l’amore e la memoria, sopravvive un oggetto di Paolo che porterà con sé in questo viaggio come amuleto?
«La fedina che ci scambiammo all’ospedale poco prima che mio marito mancasse: no, non la fede del matrimonio, un anello ancora più speciale. Il suo ricordo è presentissimo, ma se stringo forte quella fede sento Paolo qui con me».