Corriere della Sera, 9 luglio 2023
Leggo sui giornali che Erdogan, il leader turco, avrà nei prossimi giorni un incontro a quattr’occhi con Vladimir Putin, e che l’incontro ha un’importanza particolare perché Erdogan è l’unico capo di Stato di un Paese membro della Nato che sembra in grado di poter negoziare direttamente con Putin
Leggo sui giornali che Erdogan, il leader turco, avrà nei prossimi giorni un incontro a quattr’occhi con Vladimir Putin, e che l’incontro ha un’importanza particolare perché Erdogan è l’unico capo di Stato di un Paese membro della Nato che sembra in grado di poter negoziare direttamente con Putin. Grazie alla sua mediazione l’anno scorso, Kiev e Mosca poterono firmare l’accordo che permetteva di esportare il grano e altri prodotti agricoli ucraini attraverso il Mar Nero. Sembra che Zelensky indaghi in questi giorni con Erdogan la possibilità di rilanciarlo. Ma il tema centrale resta la Nato.
Non tutti i Paesi membri concordano nel formulare promesse precise a Kiev nel timore che ciò possa scatenare una guerra frontale con la Russia, acuendo il rischio di un confronto nucleare. Tuttavia, cresce anche la consapevolezza che proprio la promessa di adesione ucraina alla Nato potrebbe «oliare» l’avvio di negoziati di pace con Mosca, sulla base della considerazione per cui l’ombrello offerto dalla protezione atlantica faciliterebbe l’eventualità di un compromesso territoriale.
Vi sono in queste considerazioni due fattori che mi sembrano essere inquietanti. Il primo è il ruolo apparentemente indispensabile di due grandi personaggi, Biden e Putin. Gli avvenimenti internazionali degli ultimi anni ci avevano indotti a ritenere che l’epoca dei grandi leader (Mussolini, Hitler, Franco, Chamberlain) fosse finita. La mia generazione ricorda ancora un periodo storico in cui la politica internazionale dipendeva da grandi personaggi che avevano quasi sempre conquistato il potere grazie al voto popolare, ma lo avevano conservato più o meno arbitrariamente, e che al popolo avrebbero reso conto della loro azione soltanto quando costretti dalla rabbia popolare.
Cambio di passo
Dopo decenni di vertici e di concordia la politica internazionale dipende nuovamente dai singoli
La situazione è alquanto diversa. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale siamo entrati in una fase in cui i grandi leader nazionali erano diligentemente impegnati nel tentativo di evitare che i singoli Stati cadessero ancora negli errori da molti commessi fra la Prima guerra mondiale (1914-1918) e la Seconda (1939-1945).
Assistemmo allora a una straordinaria attività fra numerose nazioni. I capi degli Stati si incontravano per colloqui che furono definiti «vertici», le piccole nazioni strinsero legami che avrebbero permesso di conciliare molte divergenze. Altri Stati andarono oltre e rinunciarono alla loro sovranità per formare una comunità internazionale. I Paesi che ottennero i maggiori risultati furono quelli dell’Europa occidentale, ma il loro esempio fu imitato in altri: l’Europa orientale, l’America meridionale, l’Asia. Il quadro internazionale sembra oggi essere cambiato. Negli ultimi anni abbiamo assistito al ritorno dei grandi leader, del nazionalismo e, probabilmente, di un patriottismo potenzialmente bellicoso.