Avvenire, 9 luglio 2023
La Sicilia bombardata
Ci sono miti che diventano realtà storica e vicende realmente accadute che non entrano, invece, nella memoria collettiva. Così è accaduto per gli eventi legati lo sbarco in Sicilia. Una delle vulgate dure a morire sostiene che gli alleati siano stati favoriti nella conquista dell’isola dall’alleanza con la mafia. Mentre non è arrivato alla coscienza del resto del Paese il carico di sofferenza che i suoi abitanti hanno dovuto sobbarcarsi dal 1940 al 1943, cioè dall’entrata in guerra dell’Italia fascista, immediatamente seguita dai pesanti bombardamenti aerei alleati. Ora due volumi, il primo di uno storico di vaglia, Salvatore Lupo, il secondo di un politico di primo piano, il ministro Nello Musumeci, affrontano – sia pure con piglio diverso, rispettivamente quello del rigoroso saggio scientifico e quello della documentata ricostruzione divulgativa – questi due capitoli di storia siciliana e non solo.
Il primo discorso, divenuto ormai luogo comune, quasi chiacchiera da bar, viene smontato dallo storico nel denso volumetto dal titolo Il mito del grande complotto. Gli americani, la mafia e lo sbarco in Sicilia del 1943 (Donzelli, pagine 104, euro 16), in cui c’è sin dall’inizio una rivendicazione di principio: il saggio si basa solo su fonti documentali. «Poca leggenda, molta storia». Come tutti i miti, rileva Lupo, già docente di Storia contemporanea all’Università di Palermo ed esperto di mafia e fascismo, quella della trattativa Usa-mafia non è stata «una mera falsificazione», ma «rielaborò materiali reali rispondendo alla necessità di spiegare ribaltamenti improvvisi, imprevedibili sviluppi della grande storia». I suoi semi furono gettati in tempo di guerra ma fiorirono dopo. Un elemento di verità sta, per esempio, nel fatto che la Naval Intelligence statunitense nel 1942, prima che lo sbarco fosse progettato, aveva contattato in carcere il mafioso Lucky Luciano, con un duplice scopo: evitare che nel porto di New York avvenissero episodi di sabotaggio e allo stesso tempo tenere buone le maestranze nei cantieri impegnati nello sforzo bellico. Versione confermata anche dall’avvocato del boss, dopo che nel 1946 Luciano era stato scarcerato e spedito in Italia. All’opposto, a diffondere la “narrazione” dell’impegno mafioso era stato – con un articolo del 1958 e un libro del 1962, forte di una prefazione di Carlo Levi ed edito da Einaudi – il giornalista dell’Ora di Palermo Michele Pantaleone. Esponente di rilevo della sinistra siciliana, questi aveva riferito dell’impegno del boss del suo paese, Villalba, Calogero Vizzini. Simboleggiato, *er esempio, dal (fantasioso) lancio di foulard con sopra ricamata la “L” di Luciano che gli americani avrebbero effettuato nella piazza del paese. Una versione da cui nacque una vulgata che venne poi recepita addirittura dalla Commissione Antimafia nel 1976 e ribadita, nonostante l’uscita di libri che la mettevano in dubbio – come quello di Mangiameli e Renda del 1987 – dallo stesso organismo parlamentare nel 1993. Il saggio analizza anche gli eventi post Operazione Husky, che – sottolinea Lupo – non fu affatto una passeggiata di salute per gli alleati. E i rapporti che questi ebbero sul campo, ormai più politico che militare, con i mafiosi, indeboliti ma non eliminati negli anni Trenta dal celebre prefetto Mori e i movimenti separatisti.
Il saggio di Musumeci, attuale ministro per la Protezione civile e le politiche del mare e già presidente della Regione (a Catania ha realizzato un Museo storico dello sbarco), è invece dedicato a La Sicilia bombardata. La popolazione dell’Isola nella Seconda guerra mondiale 1940-1943 (Rubbettino, pagine 188, euro 18), che porta la prefazione del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Una ricostruzione che va ad arricchire l’ormai cospicua biblioteca sui bombardamenti alleati sui civili, che ha toccato ormai l’intera Italia e i principali centri, da Milano a Roma a Napoli e al Lazio meridionale (pioneristici, in proposito, gli studi di Gabriella Gribaudi, che Musumeci ricorda). Un fiorire di ricerche che ha scoperchiato una pagina poco nota e ha suscitato anche da noi un dibattito sulla legittimità di tali azioni. Dibattito da lungo tempo in corso all’estero per i capitoli riguardanti la Germania e l’atomica sul Giappone, spesso con contorno di polemiche. La Sicilia ha una peculiarità, è la prima zona a entrare nella Seconda guerra mondiale e la prima a uscirne. In quei tre anni conosce però, la “guerra totale”, che coinvolge i civili e causa la morte, ricorda il saggio, di diecimila di essi. «Qui non si mette in discussione il ruolo militare avuto in Italia dalle due armate agli ordini di Londra e Washington e il conseguente ripristino della democrazia», chiarisce l’autore, «si vuole solo dimostrare, con dati inoppugnabili, che i portatori della “libertà” hanno indossato nell’Isola anche i panni dei criminali di guerra». I massicci bombardamenti (e anche mitragliamenti) rivolti a obiettivi civili e non strategici sono stati, secondo, Musumeci, «inutili» per tre ordini di motivi. Il primo è che non hanno contribuito ad accelerare la vittoria finale. Secondo: hanno avuto una «natura terroristica», tesa a fiaccare il morale della popolazione. Infine, hanno mancato l’obiettivo di impedire la ritirata alle truppe tedesche. In particolare sul secondo punto, Musumeci ricorda che la “guerra psicologica” non portò a una sollevazione popolare. Non perché i siciliani fossero particolarmente fascisti, ma perché l’offensiva non aveva tenuto conto della loro tenacia e «innato fatalismo».
Il libro parte dai bombardamenti a sorpresa di Trapani e Palermo del 22 e 23 giugno 1940. E tocca i destini simili di città portuali, grandi e strategiche come Messina, Augusta, Catania, Siracusa, come pure di centri più piccoli, da Licata a Marsala, Randazzo, Troina o Paternò (andata completamente distrutta). Ma disegna anche la parabola dell’umore della gente: dall’entusiasmo ancora vivo dopo la dichiarazione di guerra, alla delusione, fino alla rassegnazione.
Nei tre anni di bombardamenti c’è una dura convivenza con oscuramenti, coprifuoco, sirene, rifugi, cibo razionato decaloghi pubblicati dai giornali su come comportarsi, ad esempio andare a letto vestiti. L’autore analizza, sulla scorta di testimonianze, fonti d’archivio, articoli e diari, la vita quotidiana nei ricoveri. Con la resistenza di alcuni a prendere atto dell’emergenza: «Quando sona l’allarmi, ‘ndo letto sugnu e ‘ndo lettu restu», la lapidaria frase di un cittadino. Ma a forza ci si adegua. E alcuni alla fine non riescono più a staccarsi dal rifugio in preda alla psicosi. Tutti vittime, la cui memoria per l’autore va onorata e trasmessa alle nuove generazioni. «Riconoscere le inutili stragi commesse anche dalle forze armate delle democrazie occidentali non significa rivedere il giudizio sul significato generale della guerra stessa e sulle responsabilità di quanti l’hanno generata», conclude Musumeci. Il libro di Musumeci, sottolinea Sangiuliano, «recupera alla memoria storica e collettiva vicende difficili del nostro passato, in cui gli Italiani riscrivono il concetto di spirito nazionale... sullo sfondo una guerra voluta dal fascismo, a cui l’Italia non era militarmente e economicamente preparata, un tragico errore fondato su un’alleanza sbagliata. Ma oltre l’analisi storica e l’accertamento delle responsabilità, c’è il racconto delle singole realtà che come piccoli tasselli compongono un grande mosaico»