Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  luglio 09 Domenica calendario

Di che colore è la terra?

James Fox (direttore del dipartimento di Storia dell’arte presso l’Emmanuel College di Cambridge) ne Il mondo dei colori ha scelto sette colori e li ha messi sul palcoscenico della storia, ognuno con le sue vicende e i rimandi tra culture distanti. Il libro è edito da Bollati Boringhieri (pagg. 354, € 28).



Di che colore è il nostro pianeta? Per secoli le persone ritennero, non senza logica, che fosse un arazzo composto da tanti verde foglia, giallo sabbia, marrone terra, blu mare e bianco neve. Tradizionalmente i cartografi lo disegnavano così, ed era questo che vedevano gli aviatori quando guardavano giù dagli aerei. Ma negli anni 60 gli esploratori dello spazio si resero conto che quei colori venivano sopraffatti da un’altra sfumatura. «La Terra è circondata da un alone blu particolarmente visibile e bellissimo» disse Gagarin al centro di controllo della missione Vostok-1.Al suo rientro, i giornalisti gli chiesero di descrivere di nuovo il pianeta. «Bluastro, come un enorme pallone» rispose lui sorridendo. «Uno spettacolo meraviglioso!»
I successori di Gagarin fecero osservazioni simili. German Titov e Aleksej Leonov descrissero entrambi la Terra con a parola goluboj, celeste. Nel settembre 1966, durante la missione Gemini 11, Pete Conrad fu altrettanto colpito dall’intensità del colore. «Lasciatemi dire una cosa» comunicò a Houston. «È davvero blu. L’acqua spicca più di tutto il resto, e ogni cosa è blu».
Tra il 1965 e il 1966 queste rivelazioni personali divennero di dominio pubblico, quando sulle pagine delle riviste «Life», «Time» e «National Geographic» comparvero le prime foto a colori dello spazio. Senza dubbio i lettori si concentrarono sugli uomini in primo piano con le tute spaziali bianche, ma la sfera blu che fluttuava alle loro spalle non poteva passare inosservata. La Terra non avrebbe dovuto avere quell’aspetto. Dov’erano le foreste verde scuro, le praterie verde chiaro e i deserti ocra? Tutti sapevano che la superficie del pianeta era dominata dall’acqua, ma questo non spiegava perché anche la terraferma fosse tinta di blu. Né giustificava l’alone color zaffiro che circondava il globo come la fiamma tremolante di un fornello. Di fatto, questi colori erano causati dalla diffusione di Rayleigh, la stessa che sulla Terra faceva apparire blu il cielo e l’orizzonte: l’atmosfera del pianeta disperdeva la luce blu in tutte le direzioni, non solo verso il basso.
Due anni dopo, la Nasa stava preparando la sua missione più ambiziosa fino a quel momento: progettava di mandare tre astronauti sulla Luna. Il comandante Frank Borman, il pilota del modulo di comando James Lovell e il pilota del modulo lunare William Anders sarebbero così diventati i primi esseri umani a tagliare completamente i legami con la Terra. Alle 7:51 del mattino del 21 dicembre 1968, i tre furono portati in alto dal razzo più potente mai costruito.
Salirono attraverso strati di azzurro, ceruleo, blu reale, blu oltremare, blu notte ed entrarono nello spazio nero. In undici minuti l’Apollo 8 aveva lasciato l’atmosfera terrestre; dopo sessantanove ore aveva percorso i 400 000 chilometri che lo separavano dalla Luna. Mentre orbitavano intorno al nostro satellite, i tre astronauti ne studiarono la superficie, fotografando possibili siti di allunaggio per le future missioni. Ma durante la quarta orbita, quando emersero dal lato oscuro della Luna, Frank Borman vide qualcosa: «Per caso guardai fuori da un oblò ancora limpido nell’istante in cui la Terra spuntava sopra l’orizzonte lunare. Era la cosa più bella e commovente che avessi mai visto e mi sentii travolgere da un’ondata di nostalgia assoluta, come se mi mancasse casa mia. In tutto lo spazio, era la sola cosa che avesse un po’ di colore. Ogni altra cosa era bianca o nera, ma la Terra no». Borman prese una fotocamera Hasselblad 70 millimetri, modificata appositamente per la missione, e scattò una foto in bianco e nero della Terra. In un primo momento Bill Anders lo rimproverò per essersi distratto, ma poi guardò fuori anche lui. Afferrò la fotocamera e chiese un rullino a colori. Mentre Jim Lovell frugava in tutta la cabina, Anders lo incalzava: «Presto, veloce», «Sbrigati!», «Uno qualsiasi, veloce!». Finalmente Lovell passò al collega un rullino a colori Ektachrome SO-368, ma prima di riuscire a caricarlo la scena era scomparsa. Poi Lovell avvistò la Terra da un altro oblò.
A quel punto, secondo le trascrizioni ufficiali della missione, l’equipaggio si mise a discutere di nuovo. Lovell: «Bill, la vedo, da qui è molto nitida! L’hai presa?». Anders: «Sì». Borman: «Be’, fanne tante...». Lovell: «Fanne tante! Dai, dalla a me». Anders: «Aspetta un attimo, fammi trovare la regolazione giusta. Tieni, calmati, però». Borman: «Calmati, Lovell». Lovell: «Ecco fatto... oh, che foto bellissima».
In pochi secondi concitati, Bill Anders scattò varie fotografie con diverse aperture del diaframma. Uno di quegli scatti fu incluso tra le immagini più significative del secolo.
Earthrise («sorgere della Terra») mostra il nostro mondo da 400 000 chilometri di distanza. Il pianeta, un terzo del quale è immerso nell’ombra, sale dall’orizzonte lunare grigio verso il vuoto dello spazio. Nel cosmo monocromatico circostante, la Terra è una radiosa gocciolina di colore, una sinfonia di mari blu e nuvole bianche, come una lucida sfera di lapislazzuli. Mai prima di allora il pianeta era sembrato così piccolo e fragile. Mai prima di allora era stato mostrato, a colori, dalla prospettiva di un altro corpo celeste. Come sempre succede quando un’immagine è potente, Earthrise cambiò la prospettiva delle persone. La foto toglieva la Terra dal centro e ne ridimensionava l’importanza, facendo sentire piccoli piccoli anche i suoi abitanti. Ritraeva un mondo senza confini, nazioni e ideologie, che alcuni interpretarono come il preannuncio di un futuro più unito. Quando «Life» riprodusse Earthrise sul numero del 10 gennaio 1969 (che a quanto pare venne letto da un quarto di tutta la popolazione americana), punblicò anche un componimento di James Dickey, poeta laureato degli Stati Uniti, che finisce così: «E guarda / Il pianeta blu immerso nel suo sogno / Di realtà, la sua visione calcolata che trema per / L’unico amore».
Ormai la Terra era stata ribattezzata «pianeta blu». Per molti commentatori, l’Apollo 8 fu il culmine di un’età delle esplorazioni iniziata secoli prima. In appena sei giorni Borman, Lovell e Anders avevano coperto una distanza pari a quaranta volte quella percorsa da Marco Polo, superando gli ostinati limiti planetari che avevano fermato anche i loro predecessori più avventurosi. «La frontiera sterminata è stata aperta» proclamò l’«Evening Star». «Ora l’orizzonte umano si estende all’infinito». L’Apollo 8 aveva lanciato degli esseri umani fuori dalla Terra portandoli sulla soglia di un altro mondo. Ma oltre a guardare avanti, verso il nuovo orizzonte, gli astronauti si voltarono anche a guardare quello vecchio. Vent’anni dopo, Bill Anders ricordò la missione con queste parole: «Sulla Terra ci eravamo addestrati per tutto il tempo in modo da sapere come studiare la Luna, come andare sulla Luna. (…) Eppure, quando alzai gli occhi e vidi la Terra spuntare da quell’orizzonte lunare spoglio e desolato – una Terra che era l’unico colore visibile, una Terra che sembrava fragilissima, una Terra dall’aria delicata –, subito mi sentii quasi sopraffatto dal pensiero che eravamo arrivati fin lì per vedere la Luna, e invece la cosa più notevole che stavamo vedendo era il nostro pianeta, casa nostra, la Terra».
Per la maggior parte della storia, il blu è stato il colore per eccellenza di altri mondi: montagne lontane, oceani insondabili, cieli irraggiungibili, il territorio inesplorato dell’anima. Ma quando finalmente siamo usciti dal nostro mondo viaggiando oltre i suoi orizzonti, abbiamo scoperto che il blu era sempre stato il colore di casa nostra.
Traduzione di Francesca Pe’
© 2023 BOLLATI BORINGHIERI EDITORE