Corriere della Sera, 8 luglio 2023
L’Italia è rimasta senza bagnini
Nonostante la società nazionale di salvamento, fondata oltre 150 anni fa a Genova, sforni ogni anno diecimila assistenti ai bagnanti professionisti, sulle circa 15 mila spiagge italiane (un numero che comprende anche i lidi attrezzati di alberghi e campeggi) c’è un problema: manca il 20% di bagnini necessari per garantire il servizio, pari a circa 4 mila addetti. E se a giugno i tanti giorni di maltempo hanno reso questa carenza meno evidente, la preoccupazione è per agosto. Nel mese in cui le spiagge si riempiono di turisti, tanti giovani, reclutati per la stagione, vogliono prendersi qualche giorno di vacanza.
«Le ragioni del problema – dice Antonio Capocchione, presidente del sindacato italiano balneari di Confcommercio – sono diverse. Le soluzioni, però, si trovano dandosi da fare a ottobre, non in piena estate». La prima ragione è l’alto tasso di turn over. Un lavoro stagionale, come quello del bagnino, attira soprattutto i giovani, che lasciano quando trovano di meglio. Dei diecimila che conseguono il brevetto ogni anno, infatti, qualche centinaio si accontenta del punteggio che garantisce nei concorsi pubblici (soprattutto nelle forze dell’ordine), circa 7 mila non fanno più di una stagione.
«Il punteggio nei concorsi dovrebbe essere vincolato a un’esperienza di almeno un anno – sostiene Capacchione – così da valorizzare il patentino di salvamento. Poi i costi per conseguire l’abilitazione, tra i 400 e i 500 euro, si potrebbero abbattere, lavorando di concerto con le scuole. E soprattutto bisogna destagionalizzare: se i contratti fossero meno brevi, l’appetibilità aumenterebbe».
Per il numero uno del Sib, che tuttavia rappresenta i datori di lavoro dei bagnini, non sarebbe un problema lo stipendio che, in base al contratto nazionale, varia dai 1.400 ai 1.800 euro. «No, lo stipendio non è poco appetibile – assicura —. Del resto se il gestore di una spiaggia non ha il bagnino non può aprire. Quindi è disposto a investire per reclutarne. È una legge di mercato».
Un altro tema, invece, è culturale. «Quella divisa ha perso la capacità di attrarre che aveva quando il bagnino era una figura mitica sulle spiagge di Versilia e Romagna. Oggi i giovani hanno, legittimamente, modelli diversi. E poi lavorare di sabato e domenica è considerato un sacrificio molto grande».
Riccardo Padovano Lacchè, che da consigliere nazionale della società italiana di salvamento sovrintende alla formazione di buona parte dei bagnini, ed è anche un imprenditore del settore, è più ottimista. «All’incirca il 90% delle spiagge è coperto. In Abruzzo, la mia regione, abbiamo anche delle riserve pronte che aspettano di essere chiamate. È vero che c’è una certa carenza. Fondamentalmente perché paghiamo ancora lo stop della formazione dovuto al periodo del Covid: non potevamo insegnare a diventare bagnini a distanza». Gli incidenti ripetuti nelle prime settimane d’estate, secondo Padovano Lacchè, non sono però da ricondurre a un numero insufficiente di addetti. «Agli stabilimenti è imposto di garantire un bagnino ogni 80-150 metri lineari di litorale, in base alla morfologia della spiaggia. Ma negli ampi tratti di spiaggia libera il servizio non è assicurato, non è previsto obbligo dalla legge».
E lo scarso appeal della figura? Padovano Lacchè non crede neppure a quello. «In passato, il bagnino faceva di tutto, dallo spiaggino (che apre le sdraio e gli ombrelloni, ndr) all’inserviente che puliva le passerelle. Ora, invece, è un professionista dotato di strumenti come il salvagente anulare o il baywatch (il galleggiante a forma di siluro reso popolare dalla serie tv, ndr) e sa anche usare un defibrillatore».