la Repubblica, 8 luglio 2023
Intervista al marito di Ada D’Adamo
Il giorno dopo la vittoria del Premio Strega andiamo a trovare Alfredo Favi, il marito di Ada d’Adamo, nella casa in cui vivevano insieme dal 2018. «Sono felice, frastornato, ancora non ci credo. Ma sono anche arrabbiato perché Ada non può godersi tutto questo ». Ada è morta tre mesi fa, lo scorso primo aprile proprio qui, nella sua casa nel quartiere Esquilino, in una via tranquilla piena di alberi fioriti, subito dopo aver saputo di essere stata selezionata tra i finalisti Strega. Non è un posto qualunque quest’appartamento, qui il mondo di Ada, quello che traspare nel suo memoir Come d’aria (elliot) è tangibile. Un mondo a tre: lei, Daria, che oggi ha quasi 18 anni, e Alfredo. Al centro la figlia amatissima costretta da una malformazione cerebrale alla sedia a rotelle. «Desideravo la bellezza e l’ho avuta: ho avuto te», scrive Ada. C’è bellezza ovunque tra queste stanze luminose. Foto di Ada da giovane in tenuta da danza e foto di Daria sorridente, opere d’arte, fotografie, piante, e scaffali pieni di oggetti e libri. Alfredo, 68 anni, è grafico e art director per campagne pubblicitarie. Nello studio di Ada ci sono saggi sulla danza, opere di filosofia e psicoanalisi, tanta letteratura contemporanea. Le foto di Pina Bausch sono un regalo di Alfredo. A lui è dedicato Come d’aria : «Ad Alfredo, spalle larghe, mani di roccia».
Quando vi siete conosciuti?
«A Napoli vent’anni fa, lavoravamo al Mercadante in un progetto di Mario Martone legato aPetroliodi Pasolini. La portavo in moto, si stringeva a me impaurita. Mi piace la velocità, a lei per niente. Eravamo così diversi per tante cose. Lei ordinata, rispettosa delle regole, scriveva tutte le cose da fare nella sua agenda e le cancellava mano a mano. Io più fatalista, più disordinato. Se ci invitavano a cena, Ada iniziava a scalpitare, timorosa di arrivare tardi, io invece mi muovo sempre all’ultimo minuto. Ma la mia intraprendenza partenopea, come la chiama lei nel libro, in qualche modo la rilassava e la divertiva. Questa casa è la fusione delle nostre personalità. Non pensavamo di riuscire a condividere uno spazio e per molti anni lei ha vissuto con Daria a piazza Dante mentre io facevo su e giù da Napoli dove lavoravo. Poi la pandemia ci ha uniti. Da cinque anni eravamo venuti a stare qui, siamo stati benissimo e poi un giorno le ho chiesto di sposarmi».
Era già malata?
«Sì, era il 2021, lei si è ammalata nel 2018. Sono andato al municipio e ho fatto il napoletano: “Senti c’è mia moglie che in questo momento sta in ospedale, noi ci dobbiamo sposare a settembre”. Mi disse che il primo giorno possibile era il 16 settembre e che c’erano due disponibilità, una alle 16 e un’altra alle 16,30. Ho scelto la prima. L’ho chiamata, era felicissima, interdetta, ma ha avuto anche quella volta da ridire. Ha detto che era meglio le 16,30 perché avremmo avuto più tempo per prepararci e che quindi avevosbagliato. Sono tornato in municipio e sono riuscito a spostare il matrimonio (ride ,ndr»).
Nel libro è raccontato il momento terribile della diagnosi di Daria, Ada aveva partorito da poco.
«Ero a Napoli, Ada mi chiamò al telefono, “si sono presa Daria”, mi ha detto disperata. Intendeva i medici. Corsi a Roma. Dopo due giorni sarei dovuto partire per un lavoro in Sudafrica, mollai tutto.
Daria era così piccola, la tenevo in una mano...».
Ada però nel libro scrive parlando di voi: “Un tempo di pace non l’abbiamo avuto mai”.
«La nostra è stata una storia bella e combattuta. Io stavo uscendo da un matrimonio in crisi, lei pure. Avevo meno di quarant’anni. In quel periodo mi sono beccato anche io un tumore, un linfoma. È stata tosta. Ada inoltre doveva combattere con i sensi di colpa verso la sua famiglia di origine dalla quale era andata via in cerca di un’altra vita. Si era liberata, non era più la figlia dell’hotel Mara. I genitori gestivano e gestiscono tutt’ora un albergo. Padre albergatore, uomo di destra, molto diverso dal mondo di Ada. Nella prima versione del libro Ada era stata più dura nel racconto della sua famiglia, sono stato io a suggerirle di alleggerirlo. Di fatto i suoi genitori hanno faticato a capire il nostro ambiente, i lavori intellettuali per loro non erano verilavori. Suo padre è stato una figura centrale però. Nell’ultimo periodo Ada aveva iniziato a prendere appunti per un secondo libro che avrebbe dovuto intitolarsi Il padre ».
Ada l’aveva coinvolta durante la stesura di “Come d’aria”?
«Non lo sapevo, fino a quando un giorno, stavo partendo, mi ha detto: ti ho inviato una mail con un libro.
Pensavo fosse un a lettera di rimprovero nei miei confronti o al massimo uno dei suoi saggi sulla danza, poi a fine giornata l’ho aperto. È bastato l’incipit, “Sei daria. Sei D’aria”, per capire che era un’altra cosa. L’ho letto da mezzanotte alle cinque piangendo. Le cinque è un orario che torna. È l’ora in cui Ada è morta, l’ora in cui mi sveglio tutte le mattine da quando non c’è più».
Che lei sappia aveva lavorato a lungo al romanzo?
«Anni fa aveva provato a raccontare la sua storia ma poi aveva lasciato stare. Non aveva smesso però di prendere appunti e raccogliere informazioni. Era il suo metodo, abituata com’era a scrivere saggi.
Ma la spinta forte gliela ha data la sua analista. È lei che l’ha sollecitata a scrivere tutto e che si è battuta perché ne venisse fuori un libro.
Qualche giorno prima di morire, Ada mi ha mandato una mail, c’erano due files, uno intitolato “morte”, l’altro “vita”. Morte era una poesia (qui in pagina, ndr ), vitatutte le sue password e le indicazioni utili per Daria, riferimenti medici enumeri di telefono. Voleva aiutarmi, aveva paura che non fossi in grado di gestire la situazione».
È morta subito dopo aver saputo di essere rientrata tra i finalisti.
«Quella sera la casa era piena di amici. Poi a un certo punto le persone se ne sono andate, Ada era semicosciente ma ha capito. Mi sono messo vicino a lei e ho continuato a parlarle per cercare di rasserenarla, vedevo che si tranquillizzava. Le ho parlato per ore, non mi ricordo che cosa le hodetto ma sapevo che la mia voce la calmava. Alle 4,30 ero stremato, le ho presa la mano e mi sono addormentato a fianco a lei. Alle cinque, quando mi sono svegliato, era fredda. Ma aveva un viso bellissimo, sereno. Ci siamo addormentati insieme, lei per sempre». Prima di salutarci rientra Daria con la tata Elena. Alfredo le dice: «Lo sai Daria, il tuo libro ha vinto un premio». Daria si fa una grande risata.