la Repubblica, 8 luglio 2023
Intervista al matematico Alessio Figalli
Fra tre anni esisteranno modelli di intelligenza artificiale che supereranno le capacità del miglior matematico umano: ne è convinto un ex ingegnere di Google. E i dati dicono che già oggi alcuni modelli sono migliori della media degli studenti liceali. Alessio Figalli, medaglia Fields (il premio considerato il Nobel della matematica) nel 2018, secondo italiano a riceverla, insegna e fa ricerca al Politecnico di Zurigo.
Figalli, anche lei ha paura che l’intelligenza artificiale le ruberà il posto?
«No, non penso che mi toglierà il lavoro, ma potrebbe eliminare, nella matematica ma non solo, una parte dei lavori. Se l’intelligenza artificiale ottimizza i processi, avrai bisogno di meno energie dedicate a quei processi. No, non penso che mi toglierà il lavoro, ma potrebbe eliminare, nella matematica ma non solo, una parte dei lavori. Se l’intelligenza artificiale ottimizza i processi, avrai bisogno di meno energie dedicate a quei processi».
Ci faccia un esempio.
«La correzione degli esami per noi che insegniamo, per dirne una. Ma arrivare a fare proprio ricerca in matematica…»
Secondo lei le IA ci sostituiranno in alcune discipline (dopo un certo livello avrà ancora senso fare matematica umana?) o saranno sempre e solo un potenziamento di ciò che noi uomini e donne sappiamo fare?
«Partiamo dal capire bene cosa fanno le IA e mettiamo in chiaro che non sono intelligenti. Si basano sulle esperienze passate e riproducono ma con una potenza di calcolo così avanzata da simulare l’intelligenza. Possono combinare cose in maniera originale, ma non creano cose davvero nuove»
Cosa può fare in matematica?
«Sicuramente può scrivere articoli di ricerca e può prendere singole dimostrazioni e cambiarle. Ma a che livello? Quanto può essere innovativa? È un’altra la cosa che mi fa paura in realtà».
Dica pure.
«Se le IA vengono usate dai giovani come scorciatoia non permettono loro di crescere. Provo a spiegarmi: uno studente, un ricercatore, si formano risolvendo problemi matematici complessi rispetto al loro livello. Ci possono mettere settimane, per poi passare a un livello successivo. Ma se un bot può darti il risultato in pochi secondi sostanzialmente è come dire a un ragazzo “hai la soluzione a portata di mano ma è importante che tu ci metta un mese ad arrivarci”. Vale anche per il latino, per qualunque cosa. Ci vuole molta forza di volontà. Quindi secondo me le IA non sostituiranno lavori di livello intellettuale alto, anzi ne hanno bisogno per migliorarsi. Ma quando le persone non avranno più lo stimolo di arrivare a quel livello perché l’unico modo di farlo è con il sacrificio, quello è un rischio, quello mi preoccupa».
Ma come potremmo definire la vera intelligenza?
«Potremmo dire che è l’intuizione, ma anche l’indipendenza. Ogni modello è allenato su dei dati, per quanto grandi siano, sono quelli che gli dai tu. È una rete neurale che si allena su cose esistenti».
Lei si occupa della “parte teorica” dietro le intelligenze artificiali. Ci aiuta a capire cosa significa rete neurale?
«Sono modelli artificiali del cervello. Si tratta di serie di nodi, di neuroni, connessi tra di loro e divisi in strati. Il modello decide quanto è forte l’intensità di connessione tra due nodi, ed è un processo diapprendimento che si fa con modelli matematici. È un processo che può essere molto lento: l’algoritmo che riconosce le immagini si allena velocemente, altri no. Si tratta quindi di ottimizzarne il funzionamento. Un altro problema matematico è come costruire la struttura delle reti, quanti nodi, quanti strati. E c’è unacosa importante da dire: perché le reti neurali funzionano non si sa, non c’è una ragione teorica per questo funzionamento. È una cosa puramente empirica. Funzionano e ti danno la risposta giusta, più spesso di un essere umano».
Meglio di un essere umano?
«Se tu alleni una rete neurale a riconoscere dati medici, ti dirà se quello è un tumore con molta più accuratezza di un medico».
Il settore medico punta molto sulle intelligenze artificiali.
«Sì, e in questo c’è un altro problema matematico. Per funzionare le reti neurali hanno bisogno di allenarsi sui dati e in medicina c’è un grosso problema di privacy. Esiste una maniera matematica di prendere tutte le informazioni che mi servono ma senza che nessuno possa risalire all’origine, ovvero ai dati dei pazienti? È come nella crittografia».
Serve la matematica per insegnare alle IA come imparare.
«Sì, esatto. Quindi quello che ci chiediamo noi matematici è sia cercare di capire meglio perché funzionano, visto che al momento è puramente empirico, sia come renderle più efficienti nel loro apprendimento».
C’è qualche IA che l’ha stupita?
«Io sono impressionato da come funzionano bene. Non è intelligente, ma è incredibile lo stesso. Tra pochi anni potrà risolvere problemi matematici di altissimo livello. Poi è vero che a volte ti danno la risposta sbagliata, ma non è quello il punto».
Però questo è rischioso, se non sai riconoscere cosa è falso.
«Certo, per questo è importante che l’intelligenza artificiale sia un supporto. Sicuramente diventerà più veloce di me a risolvere problemi matematici, ma va bene così. Non è una gara a chi fa più velocemente le tabelline, quello già lo fa la calcolatrice. Ma la calcolatrice è e resta uno strumento».