il Giornale, 8 luglio 2023
Spigolatgure su Puccini
Quando si approccia un genio assoluto, come ad esempio Puccini, e il suo archivio, la possibilità di nuove scoperte o acquisizioni è pressoché garantita. È per questo che il Centro Studi Giacomo Puccini, mediamente ogni biennio, licenzia un volume di Studi pucciniani: questo settimo numero (Olschki, pagg. 272, euro 30) offre, appunto, non poche novità e curiosità. Non potendo che condensare solamente qualche esempio, accenniamo appena al singolare caso de La lupa, libretto di Giovanni Verga e Federico De Roberto, sull’omonimo soggetto della novella, destinato a Puccini. Il compositore lucchese, però, lo rifiutò lasciandolo nei meandri degli archivi Ricordi. Una decisione, quella di Puccini, giunta dopo non pochi tentennamenti: il successo di Cavalleria rusticana, battesimo del verismo operistico, aveva indotto Puccini a cavalcare quell’onda. Cosa che fece, del resto, ma continuando a mantenere aperto anche un altro cantiere, quello della Bohème. In realtà, il soggetto verista non affascinò Puccini, perplesso anche della struttura del libretto: troppi dialoghi, «troppi ragionamenti per trovarvi effetti musicali». Così, decise di buttarsi «a corpo morto» sulla Bohème liquidando, come da lui senza mezze misure, La lupa una «novella grossolana come tutto Verga». Capitolo chiuso. Altro tema interessante affrontato in questo testo è la ricezione della Bohème in Russia. Il debutto fu il 12 gennaio 1897 al Teatro Solodovnikov di Mosca con un libretto tradotto da Savva Mamontov. Quella fu la prima di una serie di rappresentazioni russe. Ma come venne accolto? Olesya Bobrik sostiene che i personaggi della Bohème, prima della rivoluzione socialista, «simboleggiavano uno stile di vita disordinato, antisociale, buffonesco, ma dopo la rivoluzione sono venuti a rappresentare l’orgoglio e la dignità dei giovani intellettuali che hanno optato per la libertà e la povertà invece di arricchirsi al servizio della borghesia». Con la rivoluzione di ottobre, il titolo pucciniano entrò a pieno titolo nei palinsesti dei teatri sovietici: nel 1929 venne definita dal Narkompros un’opera «ideologicamente accettabile completamente».