La Lettura, 9 luglio 2023
Su "La stagione delle Erinni" di Stefano De Bellis ed Edgardo Fiorillo (Einaudi)
Godetevi lo spettacolo, nero e maestoso: toghe e tuniche grondano di sangue, fiumi di vino inondano i banchetti di Appio Claudio Nero e le bettole della Suburra frequentate da ladri, disperati, prostitute. Roma, l’eterna decadente. Marcia e gloriosa. Dove denaro e potere tengono insieme aspiranti condottieri, senatori, parvenu, faccendieri. Nel 72 a.C. come oggi. Mettetevi comodi, assaporate questa storia di spie e traditori, di politici senza scrupoli, di uomini e donne senza nulla da perdere. E non preoccupatevi se nelle prime pagine i nomi sono difficili da seguire: poco dopo la narrazione si apre, ogni elemento trova il suo posto in La stagione delle Erinni, seconda prova del duo De Bellis & Fiorillo, in uscita martedì 11 da Einaudi Stile libero. Cicerone, Tito il Molosso, Astragalo sono tornati. E mettono i brividi.
Un’era, quella repubblicana, al tramonto. Quinto Sertorio, il «nuovo Annibale» che dal fronte iberico voleva integrare coloni e italici, è stato assassinato; Spartaco e il suo esercito di schiavi sono in marcia verso settentrione e minacciano la stabilità politica; gli agenti di Mitridate, il re del Ponto acerrimo nemico dell’Urbe, fanno affari in città; Marco Licinio Crasso è pretore: ricchissimo, sta tentando la scalata al consolato come Quinto Ortensio Ortalo. Impossibile capire di chi fidarsi quando il sistema sta crollando, quando il Senato «è un verme che mangia Roma da dentro».
Lo sa bene Marco Tullio Cicerone, che da giovane avvocato protagonista del legal thriller Il diritto dei lupi (ambientato nell’80 a.C.), ora, otto anni dopo, ritroviamo senatore, a un punto decisivo della sua carriera politica. E della vita. Gli hanno chiesto di dirimere un caso spinoso: la giovane Plauzia è rimasta vedova dell’anziano senatore Lucio Valerio Flacco Poplicola; la famiglia del defunto chiede che il padre della ragazza rinunci all’eredità. Questione non da poco: si tratta di venti milioni e mezzo di sesterzi. Una fortuna.
Si dipana da qui, da questa valanga di denaro, il complotto (molto verosimile) raccontato da La st agione delle Erinni, in cui Cicerone è il «detective» chiamato (anche contro la sua volontà) a sciogliere dubbi, svelare alleanze, a capire quale destino toccherà alla venerata res publica. Al suo fianco c’è Tito Annio Tuscolano, il Molosso di Crasso, un ex centurione che, dopo i fatti del Diritto dei lupi — la causa vinta dall’Arpinate che è arrivata fino a noi grazie all’orazione Pro Sexto Roscio Amerino — e dopo essersi lasciato alle spalle cadaveri e rimpianti, ha deciso di tornare a Roma, al servizio di Crasso. E poi ci sono Astragalo, compagno di bevute e scorribande (ma rispetto a una volta si è intenerito), Flavia, che fa la maîtresse e ha tanti segreti, oltre a due formidabili guardie del corpo, Castore e Polluce.
Sanno muoversi, tutti questi personaggi, nella Roma più sordida e in quella aristocratica. Silenziosi e violenti, se necessario, ognuno con un proprio personale tornaconto (non sono benefattori). Ascoltano, agiscono, spesso sono capaci di battute folgoranti. Indagano: non hanno a che fare con delinquenti comuni, ma con i grandi dell’Urbe, pericolosi congiurati in grado di muovere eserciti e strepitose ricchezze, di corrompere magistrati, di stringere e rompere solide alleanze. Li vediamo sfidare la notte tra vicoli e postriboli del primo secolo avanti Cristo, quelli che i due amici di sempre, i piacentini Stefano De Bellis ed Edgardo Fiorillo, sanno ricostruire come se li avessero davanti agli occhi. Impeccabili nella cornice storica (i personaggi realmente vissuti e quelli di finzione interagiscono con naturalezza; il background politico è fedele alle fonti), cinematografici nella narrazione. Maestri dello slang dei bassifondi e dell’oratoria più aulica, fanatici dei dettagli (tutto il libro è una sfida agli storici di professione), gli autori costruiscono un enigma tesissimo che spiazza, come sempre fa la Roma del mondo di mezzo. Fino alla verità, che arriva ancora una volta opaca, dopo tanto sangue.
Composizione moderna, cupa, erede del noir alla Ellroy. Dialoghi e spargimenti di sangue alla Tarantino. Personaggi degni di Apocalypse Now (Sertorio sembra il colonnello Kurtz). Echi di Romanzo criminale. Il thriller viaggia veloce (ancora più di quello di esordio) lungo 650 pagine. Non perde forza, arriva integro — e ben scritto — al finale con i suoi temi cardine: l’ambizione, la lealtà a un ideale, il concetto di famiglia, di patria. Più di tutto, però, La stagione delle Erinni è un romanzo sulla vendetta, consumata a ogni costo. In particolare da parte delle donne, figure di primissimo piano nella trama architettata da De Bellis & Fiorillo. Determinate, spesso ambigue. Plauzia: giovane innocente o astuta tessitrice? La celtibera Erennia: schiava devota o tiranna del temibile Nero? Flavia: sfruttatrice delle sue ragazze o addirittura tenera madre? (E poi ancora Terenzia, la saggia moglie di Cicerone, la spaventosa «strige» che riconosce il veleno usato per tanti omicidi, la sfortunata Galla...). Sono femmine fiere in un mondo di uomini, da cui devono guardarsi e di cui però hanno bisogno perché la società lo impone. Furie che sentono solo il richiamo dell’odio, l’unico a muovere il loro sangue. Eroine di una storia tragica. Anche quando il caso è chiuso.