Anteprima, 16 giugno 2023
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Biografia di Robert Gottlieb
Robert Gottlieb (1931-2023). Già direttore editoriale della Simon & Schuster e della Knopf e del New Yorker e editor, fra gli altri di Toni Morrison, V. S. Naipaul, John Cheever, Joseph Heller, John le Carré, Doris Lessing, Jessica Mitford, Salman Rushdie, Bob Dylan, Chaim Potok. «Senza di lui, senza il suo intervento invisibile a noi lettori, la letteratura americana del dopoguerra (e, almeno per qualche libro, quella inglese) sarebbe stata molto diversa. Dobbiamo alla sua matita magica e spietata anche la bellezza — inconsueta, non erano scrittori di professione — delle autobiografie di Bill Clinton, Paul Simon, Sidney Poitier, Elia Kazan, Katharine Hepburn, Irene Selznick. Amante dei libri senza snobismi (era il contrario di uno snob: incredibilmente, collezionava bamboline di plastica da pochi soldi per l’orrore della moglie Maria Tucci, bravissima attrice teatrale), lavorò con successo anche alla narrativa popolare di Michael Crichton e Anne Rice. Ecco, la matita di Gottlieb. Uomo dai modi asciutti — per non dire bruschi — con la sua matita correggeva, tagliava, limava, protetto nei suoi scontri con gli scrittori non tanto dalla sua fama e dal suo potere ma dalla sua intelligenza, dall’essere irrimediabilmente dalla parte della ragione. Parco di complimenti – l’amico fraterno di una vita, il grande storico Robert Caro, spiegava di non aver ricevuto alcun incoraggiamento da lui per decenni, fino a un asciutto not bad, non male, che lo commosse – Gottlieb difendeva però i suoi autori con ferocia, dentro e fuori la casa editrice. Tutti citano la sua scelta più famosa, cambiare il titolo di Comma-22 che in origine si chiamava Comma-18 e che contribuì a rendere il capolavoro del Novecento che è. Ma Gottlieb — trovò il tempo di essere anche un grande critico di danza classica, e biografo di gran classe — lavorava dietro le quinte al di là delle correzioni del testo: l’amica Toni Morrison, che quando pubblicò i primi due romanzi ancora lavorava in una casa editrice, gli chiese una mano durante la stesura del terzo. «Perché non provi a lasciarti andare», suggerì lui, come sempre sintetico, quasi gnomico (come un maestro Zen, girava spesso scalzo). Morrison si sentì autorizzata a liberare tutta la sua creatività, così nacque Il canto di Salomone e cominciò una nuova fase della sua bibliografia — e della sua vita — straordinaria. Ci fu tempo, in extremis, per un documentario, girato con bravura e infinito amore da sua figlia Lizzie: Turn Every Page, volta ogni pagina, storia del suo lavoro con Robert Caro, biografo di Robert Moses e Lyndon Johnson. Li vediamo sempre separati, l’uno che parla dell’altro, unica condizione imposta dai due, altrimenti non se ne sarebbe fatto niente. Ma, alla fine, acconsentono a essere filmati insieme, in ufficio, al lavoro sul prossimo libro, con le loro matite. Ma in quella scena non c’è sonoro, è muta: per proteggere da occhi indiscreti il rapporto strettissimo, quasi mistico, tra lo scrittore e il suo editor» [Persivale, CdS].