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 2023  giugno 05 Lunedì calendario

Biografia di Antonio Panzeri (Pier Antonio Panzeri)

Antonio Panzeri (Pier Antonio Panzeri), nato a Riviera d’Adda (Bergamo) il 6 giugno 1955 (68 anni). Politico (indipendente; già Articolo Uno, Partito democratico, Democratici di sinistra, Partito democratico della sinistra, Partito comunista italiano). Ex europarlamentare (Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici) (2004-2019). Ex sindacalista (Cgil). «C’era una volta il Panzer. […] Per qualcuno era il compagno che ce l’aveva fatta, per altri, semplicemente, il designato, o il predestinato da spedire a Bruxelles. […] L’uomo passato dalle barricate sindacali per “la difesa dei diritti e della sicurezza sociale” (ipse dixit) alla tela delle relazioni. […] La tela, 18 anni dopo, lo ha inguaiato» (Paolo Berizzi) • «Il giovane di Solza [il Comune di Riviera d’Adda, costituito nel 1928 mediante la fusione dei Comuni di Solza e di Medolago, fu abolito nel 1970, ripristinando il precedente assetto amministrativo – ndr], provincia bergamasca che ha nella fabbrica il proprio totem, ha solo 15 anni quando prende la tessera del Pci. Si fa notare abbastanza se due anni dopo è alle Frattocchie. […] “Avere come insegnanti Pietro Ingrao e Giorgio Amendola valeva anche sei mesi di clausura”. Altri tempi, quelli del training nobile che il partito offriva alle giovani promesse. […] Al ritorno deve partire militare, finisce in un reggimento di artiglieri a cavallo ma chiude subito con la caserma. […] Finita la leva, il giovane bergamasco entra “in azienda”, all’Enichem. Nel frattempo a Solza, paese di mille anime nella valle dell’Adda di cui si ricorda Bartolomeo Colleoni come cittadino illustre, diventa giovanissimo consigliere comunale del Pci. E nel frattempo in fabbrica, quando arriva la prima crisi pesante della chimica e all’Enichem si soffre per un pesante piano di “riorganizzazione”, il venticinquenne Panzeri al Pci preferisce la Cgil. Nel 1981 entra in aspettativa sindacale, e da allora in fabbrica non tornerà più per lavorare ma per “trattare”. “Panzer” il pacato fa carriera. E la fa in fretta. Inizia nei chimici a Varese, diventa il segretario regionale della categoria, poi il segretario generale del comprensorio di Busto Arsizio, nel 1988 è a Milano e nel 1995 diventa il segretario della Camera del lavoro» (Giuseppina Piano). «A quarant’anni viene chiamato a guidare la Camera del lavoro di Milano, incarico che manterrà dal 1995 al 2003. Di estrazione egli sarebbe un “migliorista”, ovvero un esponente della “destra” del Partito comunista (corrente storicamente guidata da Giorgio Amendola e poi, alla sua morte, dal di lui delfino Giorgio Napolitano), che nella Milano da bere degli anni ’80 andava a braccetto con il Psi nell’amministrazione della città. Con la Seconda Repubblica, tuttavia, Panzeri si avvicina a Massimo D’Alema, prima segretario del Pds e poi capo del governo dall’ottobre del ’98 all’aprile del 2000. In qualità di “dalemiano” acquisito, Panzeri si trova a capeggiare l’opposizione a Sergio Cofferati all’interno della Cgil, in una stagione in cui non mancano i motivi di attrito fra il leader sindacale e il presidente del Consiglio (era l’epoca del “D’Alema, dì qualcosa di sinistra!” di morettiana memoria)» (Giuseppe Russo). «“Amava spendere”, racconta chi ha lavorato con il Panzer. “Anche con la carta di credito oro del sindacato”» (Berizzi). «Sono gli anni in cui il sindacato deve fare i conti con l’irreversibile processo di deindustrializzazione del territorio metropolitano, con nuove istanze sociali e politiche, nuovi interlocutori e meno risorse, perché le trasformazioni del lavoro erodono anche la base degli iscritti. Lui, riformista dichiarato, cerca di tenere il punto sulle “cose di sinistra” ma senza mai chiudere le porte a dialogo e negoziazione. […] A cavallo dei primi anni Duemila, quando il centrodestra berlusconiano dilagava e Milano non era politicamente contendibile all’allora sindaco Gabriele Albertini, era diventato uno dei punti di riferimento quantomeno più visibili di una sinistra milanese in profonda crisi di identità e leadership» (Giampiero Rossi). Particolare notorietà gli diede lo «scontro con il sindaco Albertini sul “Patto per il lavoro di Milano”. La Cgil di Cofferati non lo accetta, Panzeri a Milano tiene duro e “non firma”, come rivendica. […] Con la giunta di centrodestra il dialogo si fa difficilissimo, ma quello che brucia di più è la divisione con Cisl e Uil, che invece al Patto dicono sì. Nel 2003, quando Panzeri lascia corso di Porta Vittoria, l’unità sindacale a Milano è stata ricucita. Ma per il giovane delle Frattocchie si impone una scelta: cosa farà da grande?» (Piano). «Quando Cofferati lascia la guida del sindacato, nel 2002, fra i papabili per la successione c’è proprio Panzeri, considerato un sindacalista “ragionevole” dalla controparte confindustriale, che aveva avuto modo di apprezzarne l’inclinazione alla “concertazione” tanto in voga in quegli anni. Segretario della Cgil diventa tuttavia Guglielmo Epifani, e Panzeri, in base al collaudato sistema di “porte girevoli” fra il sindacato e la politica, si fa eleggere al Parlamento europeo a suon di preferenze: alle elezioni del 2004 egli è il secondo più votato della lista “Uniti nell’Ulivo” nella circoscrizione dell’Italia Nord-occidentale, alle spalle di Pier Luigi Bersani» (Russo). «La seconda vita di Antonio Panzeri, quella da europarlamentare, inizia nel 2004 con 105 mila preferenze. […] Nei cinque anni successivi occupa diversi ruoli nell’organigramma europeo: vicepresidente della commissione Occupazione e Affari sociali, membro supplente della commissione per il Mercato interno e la Protezione dei consumatori, fa parte della delegazione per le Relazioni con gli Stati Uniti e con il Giappone. E dopo la rielezione del 2009 guida le relazioni con i Paesi del Maghreb, entra nella commissione Affari esteri e di nuovo in quella per il Mercato interno. Cinque anni dopo, 77.103 preferenze gli consentono di rimanere a Bruxelles per la terza legislatura consecutiva» (Rossi). Poco dopo la rielezione, Panzeri «si candidò per diventare il capogruppo della delegazione del Partito democratico. Ai tempi il Pd aveva la seconda delegazione più numerosa del Parlamento europeo dopo i tedeschi della Cdu, il partito della cancelliera in carica Angela Merkel. Allora Panzeri era uno dei due parlamentari europei del Pd in carica da più tempo: la sua candidatura a capogruppo fu considerata un passaggio inevitabile. In un altro periodo storico probabilmente sarebbe stato eletto. Ma nel 2014 il segretario del partito era Matteo Renzi, che alle elezioni europee aveva portato il Pd vicino al 41 per cento dei voti, e la corrente della sinistra “storica” di cui Panzeri faceva parte e di cui il leader informale era Massimo D’Alema era finita in minoranza. Alla fine la votazione interna premiò Patrizia Toia, l’altra parlamentare europea del Pd in carica dal 2004, molto nota negli ambienti cattolici progressisti e decisamente più vicina a Renzi. La mancata elezione fu uno snodo cruciale per la carriera di Panzeri al Parlamento europeo. A partire da quel momento iniziò progressivamente ad allontanarsi dal Pd, muovendosi in maniera sempre più autonoma ed eterodossa rispetto alla linea del partito e dell’S&d. […] Negli anni seguenti anche i suoi collaboratori più stretti si isolarono a tal punto dalla normale vita di partito che la cosa fu notata. […] Molti avevano l’impressione che gli assistenti più stretti di Panzeri – Francesco Giorgi […] e Giuseppe Meroni – fossero più fedeli a Panzeri stesso che al partito. […] Fra Panzeri e Giorgi si intravedeva inoltre un legame molto forte: Panzeri non parlava bene le lingue straniere, e anche nei lavori ufficiali del Parlamento usava sempre l’italiano. Per anni Giorgi gli ha fatto da interprete, traducendo le sue conversazioni formali e informali con le persone che Panzeri incontrava per lavoro. Fu in questi anni, forse anche per compensare il suo allontanamento dal Pd, che Panzeri iniziò a mettere insieme un gruppo transnazionale di parlamentari con cui condivideva sensibilità e storia politica, più a sinistra della linea ufficiale dell’S&d. Ne facevano parte circa una ventina di parlamentari. I più vicini a lui sono quelli che […] sono stati coinvolti nell’indagine della Procura federale belga: il parlamentare italiano Andrea Cozzolino e i belgi di origine italiana Marc Tarabella e Maria Arena. […] Al Parlamento europeo la sottocorrente di Panzeri […] era attiva soprattutto sulla politica estera» (Luca Misculin). «Nel 2017 compie una scelta politica: lascia il riformista Pd per spostarsi a sinistra, con Articolo Uno e poi con Liberi e uguali. A Bruxelles continua a occuparsi di Maghreb e presiede anche la sottocommissione per i Diritti umani» (Rossi). «Nel 2019 […] non viene ricandidato per un quarto mandato da europarlamentare, e si spengono subito pure le sue speranze di strappare uno strapuntino come capo segreteria di Roberto Speranza al ministero della Salute, posizione nella quale gli viene preferito il napoletano Massimo Paolucci, dalemiano della prima ora. È allora che […] l’ex sindacalista fonda la ong Fight Impunity, avente come ragione sociale quella di “combattere l’impunità” in fatto di violazioni dei diritti umani. Panzeri si reinventa dunque “lobbista”, mettendo a frutto quindici anni di esperienza europarlamentare» (Russo). Il 9 dicembre 2022, la deflagrazione dello scandalo: «l’ex eurodeputato del gruppo Socialisti e democratici Pier Antonio Panzeri e altri tre cittadini italiani sono indagati e arrestati dalla magistratura di Bruxelles in una inchiesta internazionale per corruzione che vede coinvolte anche le autorità del Qatar. […] Nelle stesse ore le autorità italiane hanno eseguito un mandato di cattura europeo a carico della moglie di Panzeri, Maria Colleoni, e della loro figlia, Silvia. Gli arresti sono stati eseguiti a Calusco d’Adda (Bergamo), dove l’ex eurodeputato e la famiglia vivono. Anche per le due donne i reati contestati sono corruzione e riciclaggio» (Claudio Del Frate). «Panzeri è stato arrestato […] nel quadro dell’indagine mediaticamente ribattezzata “Qatargate”. Le autorità del Qatar (e, come verrà fuori in seguito, del Marocco, seppure in posizione più defilata) affidavano a Panzeri la cura delle “pubbliche relazioni” all’interno dell’Europarlamento allo scopo di ottenere votazioni favorevoli su singoli provvedimenti e strappare certificati di affidabilità in materia di tutela dei diritti umani. Tale sistema era foraggiato dall’erogazione di fondi che venivano smistati da Panzeri ai parlamentari “amici” all’interno del gruppo Socialisti e democratici attraverso una rete di portaborse a lui fedeli, fra i quali il suo ex assistente Francesco Giorgi. […] Labile è il confine fra “lobbismo” e “corruzione”, e pare che Panzeri l’abbia varcato: nel suo appartamento sono stati trovati circa 500.000 euro in contanti, e cifre analoghe sono state sequestrate a Giorgi e al padre della sua compagna, l’allora vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili, esponente dei socialisti greci, la quale, dopo essere stata destituita dall’incarico, continua a proclamarsi estranea alla vicenda» (Russo). «Una farsa. O poco più. Negli atti d’inchiesta del Qatargate c’è il racconto di una giornata particolarmente brutta, perché ha reso la democrazia europea una marionetta nelle mani di Antonio Panzeri. È il 14 novembre del 2022 quando Ali Bin Samikh Al Marri, ministro del Lavoro del Qatar, si presenta davanti alla sottocommissione Diritti umani del Parlamento europeo per convincere gli eletti che la situazione dei diritti dei lavoratori a Doha è assai cambiata. E che, dunque, i Mondali di calcio si potranno disputare con la massima serenità. La partita andata in scena era però truccata: perché il discorso del ministro era stato preparato da Panzeri. Ma, soprattutto, perché – secondo quanto emerge dagli atti di indagine – l’ex eurodeputato del Partito democratico aveva lavorato anche alle domande che alcuni parlamentari avrebbero dovuto fare ad Al Marri. “Alessandra Moretti, Andrea Cozzolino, Marc Tarabella” sono i nomi citati. A raccontarlo in uno degli interrogatori davanti al magistrato è stato Francesco Giorgi, il braccio destro di Panzeri e assistente di Cozzolino, agli arresti in Belgio» (Claudio Tito). Il 17 gennaio successivo anche Panzeri, «dopo che l’Italia ha dato il via libera alla consegna alle autorità belghe della moglie Maria Colleoni e della figlia Silvia Panzeri, anch’esse indagate e ai domiciliari, ha comunicato agli inquirenti belgi la sua decisione di collaborare all’inchiesta. Per questo ha potuto firmare un accordo con la Procura: dovrà scontare in carcere almeno un anno effettivo, sempre che le dichiarazioni che fornirà ai magistrati sulla vicenda siano veritiere. Panzeri ha ammesso di aver partecipato a un’organizzazione criminale e di essere stato un corruttore attivo. […] Nell’accordo, oltre alla reclusione, è prevista “una multa e la confisca di tutti i beni finora acquisiti, stimata attualmente in un milione di euro”» (Franco Adriano). «I faccia a faccia del politico italiano […] con le autorità si sono susseguiti a ritmo serrato, con l’introduzione di elementi che hanno portato all’arresto del dem Andrea Cozzolino […] e del belga Marc Tarabella. […] Allo stesso tempo, sono tornate in libertà la moglie Maria Dolores Colleoni e la figlia Silvia, entrambe accusate di essere sue complici nel traffico di soldi sporchi» (Massimo Balsamo). «È un fiume in piena Antonio Panzeri. […] Un anno di carcere invece di cinque è servito all’ex eurodeputato del Pd per vuotare completamente il sacco, soprattutto sull’utilizzo della grande quantità di denaro in contanti che sarebbe finita nelle sue tasche. “Ne avevo troppo – avrebbe detto ai magistrati belgi durante gli interrogatori –, non sapevo cosa farne. A volte è capitato che abbia gettato soldi nei cassonetti dei rifiuti”. […] Il flusso di banconote è cominciato a circolare nel 2014, ma le vagonate di soldi sono arrivate solo nell’ultimo anno. Panzeri e l’assistente Francesco Giorgi […] avrebbero stretto un accordo illecito con il Marocco e la Mauritania: denaro per ottenere voti favorevoli dall’Ue. Il salto di qualità, però, è avvenuto con il Qatar. Il connubio con il Paese della penisola araba ha fruttato a Panzeri e Giorgi un milione di euro a testa per il 2018 e il 2019. Tanti soldi, difficili anche da occultare. Un flusso così pericoloso da convincere Panzeri a lasciare nei cassonetti dei rifiuti una parte del contante» (Ignazio Riccio). Il 13 aprile Panzeri è stato scarcerato e assegnato agli arresti domiciliari, con braccialetto elettronico, nel suo appartamento di Bruxelles • «Anche durante il suo ultimo mandato a Strasburgo qualche piccolo guaio lo ha avuto: era finito in una inchiesta interna per rimborsi di viaggi legati alla sua associazione “Milano Più Europa” che l’amministrazione considerava non idonei: 83 mila euro» (Tito) • «Dice: “Ho una vera passione per la lettura, in fatto di libri sono un onnivoro con uno spiccato interesse per la saggistica. E amo la poesia, perché è quella cosa che ispira la bellezza”. […] Tanto ama Leopardi da aver chiamato l’unica figlia Silvia, e tanto ha la folgorazione del tifoso da proclamarsi “interista a prescindere”. […] Rito personale: non guardare mai un secondo tempo» (Piano) • «Per parlare al telefono, questo vecchio dalemiano […] usava, con misura, un preistorico Nokia. Uno di quei reperti d’archeologia impermeabili ai moderni software d’intercettazione» (Salvatore Merlo) • «È uno che “ha sempre uno stile pacato ma sa anche scherzare”, ricordano ancora in Cgil» (Piano, nel 2004). «Era di un’arroganza e supponenza incredibili, guardava tutti dall’alto in basso. C’è un aneddoto su di lui che si ripete di continuo a Milano: pare che fin dai tempi della Cgil portasse con sé in ufficio la foto di un clochard, che indicava a quelli che lo contraddicevano. E diceva: “Secondo te, tra me e te chi è più facile che faccia questa fine?”. […] Si compiaceva perché lo chiamavano Panzer, nel senso che non si fermava davanti a nulla, come fa un carro armato» (Alberto Grassi, suo ex assistente parlamentare per pochi mesi nel 2013, a Paolo Frosina, nel dicembre 2022) • «Non c’è solo la degradazione della tangente, la sua definitiva condanna a economia dello spreco, nei soldi che Antonio Panzeri ha raccontato di aver buttato nella spazzatura, e non all’arrivo della polizia come accade ai delinquenti con la testa sulle spalle, ma perché non sapeva più dove metterli. […] È prigioniero della ricchezza Antonio Panzeri. […] Solo Marilyn aveva capito che “la felicità non si trova nei soldi, ma nello spenderli”» (Francesco Merlo) • «Panzeri, sia chiaro, non è nessuno. […] Non è neppure che Panzeri l’abbia fatta troppo grossa: è che si è trovato in un gioco più grande di lui, all’interno del quale è apparso subito come una pedina sacrificabile. È infatti trapelato che Panzeri fosse stato “attenzionato” dai servizi segreti belgi già nel 2021, e che questi avessero agito dopo la “soffiata” dell’intelligence degli Emirati Arabi Uniti, Paese rivale del Qatar nel Golfo Persico. […] I mille Panzeri impuniti […] stiano pure tranquilli: la loro ora non è ancora giunta. “Fare pulizia” è l’ultima delle volontà di chi ha promosso il Qatargate, sullo sfondo del quale si consuma la resa dei conti fra Qatar e Arabia Saudita per accreditarsi come principale partner dell’Occidente nella polveriera mediorientale. […] Pier Antonio Panzeri non è dunque un Mostro da prima pagina, ma solo uno dei tanti mostriciattoli che si annidano nelle pieghe di una politica che non decide più nulla. Se costui l’avesse fatta franca, se si fosse ritirato a vita privata appena qualche mese fa, sul suo necrologio avrebbero un domani scritto che aveva dato la vita per i diritti dei lavoratori eccetera eccetera, come accaduto a migliaia più scaltri e fortunati di lui, e sublime sarebbe stato il godimento del maltolto da parte dei suoi eredi» (Russo).